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In una parola: integrazione

Ridurre il gender gap non è più solo una “questione femminile”, ma riguarda la società e l’economia che immaginiamo per il futuro. Una recente ricerca dell’Osservatorio 4.Manager ci spiega il perché

Il 26 agosto 2021, in occasione dell’apertura della conferenza sulla parità di genere del G20, il Presidente Mario Draghi ha dichiarato: <<Durante la presidenza italiana abbiamo adottato misure concrete per migliorare la posizione delle donne nel mondo del lavoro, promuovere la loro emancipazione e rimuovere gli ostacoli che frenano le loro carriere. A giugno abbiamo adottato una tabella di marcia volta a raggiungere e superare l’obiettivo fissato a Brisbane, che prevede di ridurre del 25% entro il 2025 i divari di genere nel tasso di partecipazione alla forza lavoro nei Paesi del G20>>. E poi ha aggiunto: <<Ogni perdita di talento femminile è una perdita per tutti noi>>.

Queste dichiarazioni sono conseguenza, in parte, della crisi innescata dalla pandemia che ha colpito, con particolare violenza, proprio le donne e i giovani[1], generando complessità aggiuntiva per i già affaticati sistemi di governance pubblica. E proprio l’impatto devastante del Covid-19 ha provocato una rapida reazione delle istituzioni e si è cominciato a ragionare in termini spesso innovativi per ridurre il divario tra uomini e donne.

Sul piano comunitario, a marzo 2020 la Commissione europea[2] ha disegnato la Strategia quinquennale per la parità di genere e lo sviluppo sostenibile e a marzo 2021 ha presentato la proposta di direttiva volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi[3].

Anche il nostro Governo si è fatto promotore di iniziative in questo settore. La ministra Bonetti, ad agosto 2021, ha annunciato la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026. Obiettivo principale recuperare – entro il 2026 – cinque punti nella classifica del Gender equality index[4] dell’Eige (European institute for gender equality): l’Italia è al 14° posto con un punteggio di 63,8 punti su 100, inferiore di 4,2 punti alla media Ue. Parallelamente, il Pnrr è orientato non solo alla transizione ecologica e digitale ma anche al recupero di ritardi storici che riguardano, tra le altre, le donne.

Anche in occasione della Cop26[5] di Glasgow si è parlato di politiche di genere. I cambiamenti climatici, infatti, hanno un impatto violento su quelle fasce della popolazione (donne, bambini, anziani e disabili) che dipendono maggiormente dalle risorse naturali per il proprio sostentamento e/o che hanno la minor capacità di rispondere ai rischi naturali.

Mai come in questa fase storica, dunque, affrontare una decisa virata di rotta non è più un’opzione, anche perché ormai la parità tra i sessi possiede un’evidente concretezza economica, oltre che giuridica e di civiltà. L’Eige stima che una Ue più equa tra i sessi aumenterebbe il Pil pro capite del 6,1% – 9,6% e creerebbe 10,5 milioni di posti di lavoro aggiuntivi.

L’ European institute for gender equality stima che una Unione europea più equa tra i sessi aumenterebbe il Pil pro capite del 6,1% – 9,6% e creerebbe 10,5 milioni di posti di lavoro aggiuntivi

L’uguaglianza di genere, in altre parole, non è più solo una “questione femminile”, ma tocca da vicino tutti noi e il tipo di società e di economia che immaginiamo per il futuro. In questo contesto, il lavoro di ricerca condotto negli ultimi due anni dall’Osservatorio 4.Manager mostra come purtroppo solo di recente si sia iniziato ad affrontare il problema della parità di genere nelle posizioni di leadership.

L’Osservatorio ha analizzato un campione di circa 17 mila imprese con almeno un dipendente: l’83,5% è a conduzione maschile, il 12,2% è a conduzione femminile e il restante 4,3% è a conduzione “paritaria”[6]. Su questo stesso campione è stata analizzata la composizione dei ruoli amministrativi apicali e del consiglio di amministrazione: su 44.236 consiglieri solo il 19% sono donne; la carica di presidente e di amministratore delegato è affidata a una donna solo nel 12% dei casi. Per l’amministratore unico la percentuale femminile sale al 22,5% per effetto della più ridotta dimensione aziendale.

Anche i dati Inps 2019 segnalano che, in Italia, le posizioni manageriali sono occupate da 605 mila lavoratori e lavoratrici, di queste solo il 28% sono affidate a donne. Tale quota si riduce significativamente se si considerano le posizioni lavorative regolamentate da un contratto da “dirigente”; in questo caso, su circa 123 mila dirigenti, le donne sono poco più di 22 mila (18%).

I dati Inps 2019 segnalano che su circa 123 mila dirigenti, le donne sono poco più di 22 mila, solo il 18%

Per colmare il divario, secondo i manager e gli imprenditori intervistati dell’Expert panel dell’Osservatorio, i temi più urgenti da affrontare e risolvere sono: “gli stereotipi di genere” (69,6%), “il gap retributivo” (58,9%) e “il basso numero di donne nelle posizioni di potere” (57,4%). Le soluzioni prospettate ruotano in larga misura intorno a nuovi stili di leadership, nuovi paradigmi organizzativi, people management e welfare aziendale.

Interviste e colloqui effettuati, in termini di competenze tecniche (o hard skills) della “leadership del futuro”, chiamata a gestire le due grandi transizioni in atto, sostenibile e digitale, non evidenziano differenze significative di genere, ma un’ampia parte sottolinea una differenza nelle attitudini (o soft skill) di genere. Emerge come una leadership inclusiva in cui si incontrano e lavorano insieme sensibilità diverse, non solo valorizzi l’impresa, ma consenta di affrontare con più facilità questo momento storico di importanti e, si potrebbe dire, epocali transizioni e trasformazioni. Dalla parità di genere si passa, dunque, alla diversità di genere come valore aggiunto e come valorizzazione delle differenze. In una parola, all’integrazione.

Al fine di raggiungere tale integrazione, l’Osservatorio 4.Manager invita a cogliere tutte le opportunità che il Pnrr e la transizione verso la neutralità climatica offrono per la valorizzazione del talento femminile, in primis a utilizzare la prospettiva di genere, e più in generale di diversità e inclusione, anche per immaginare percorsi trasformativi in campo tecnologico e sostenibile. Occorre, inoltre, investire di più negli incentivi per l’assunzione delle donne; introdurre nel sistema universitario corsi di diversità e inclusione e destinare risorse alla formazione aziendale su questo stesso tema.

Tutto ciò in concomitanza con l’attivazione di una maggiore sinergia tra attori pubblici e privati per favorire la prospettiva di genere nella progettazione dei piani previsti dagli enti locali per rispondere al Pnrr e con la creazione di piattaforme fisiche e digitali per la collaborazione tra grandi imprese, enti di ricerca e pubblica amministrazione locale.

[1] Women and labour market equality: Has COVID-19 rolled back recent gains? | Eurofound (europa.eu)

[2]  Comunicazione “Un’Unione dell’uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025”

[3] Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo E Del Consiglio, Bruxelles, 4.3.2021 COM(2021) 93 final 2021/0050 (COD).

[4] https://eige.europa.eu/gender-equality-index/compare-countries

[5] https://ukcop26.org/

[6] La leadership di genere è stata classificata in “Esclusiva/Forte” ove presenti più del 50% di esponenti del Consiglio di amministrazione di genere femminile. Ove presenti esponenti di genere femminile in egual misura di quelli di genere maschile la leadership di genere è stata definita come “Paritaria”. Infine, nei casi in cui è stato riscontrato un numero di esponenti di genere maschile superiore al 50% la leadership di genere è stata definita come “Minoritaria/Assente”.

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