Il presidente dei record

Il bilancio di un anno della presidenza USA di Donald Trump appare a gran parte degli osservatori decisamente negativo sia dal punto di vista della politica interna che internazionale. Non a caso i sondaggi del consenso popolare danno un risultato così basso – intorno al 36-38% – da rappresentare il record negativo della serie storica del primo anno dei presidenti del dopoguerra.

La ragione di tanta insoddisfazione domestica sta anche nel fatto che, diversamente da gran parte dei suoi predecessori, sia Repubblicani che Democratici, Trump più che unire il Paese uscito fortemente diviso dalle elezioni del novembre 2016, ha accentuato i conflitti tra l’America dei suoi sostenitori e quella di tutti gli altri.

In breve, il 45° Presidente si presenta oggi come un Presidente “partigiano” che contraddice la prassi istituzionale americana e lo stesso motto inscritto nello stemma della Casa Bianca Ex pluribus Unum.

I maggiori provvedimenti interni, per lo più proposti per via di decretazioni presidenziali (Executive Order), sono stati respinti dallo stesso Congresso (disciplina sull’immigrazione da alcuni paesi islamici, riforma o abolizione dell’Obamacare, disciplina del clima) malgrado la maggioranza in entrambi rami del parlamento (Senate e House of Representatives), sia tuttora Repubblicana, quindi teoricamente concorde con il presidente.

Anche la pacificazione sociale è andata a ritroso con l’apertura di frequenti controversie della memoria tra esaltatori e denigratori della parte sudista della Guerra civile. Sul fronte economico (che negli Stati Uniti è indipendente dal potere pubblico molto più che in Europa) il ciclo ha ben ripreso dopo la crisi del 2008, ma si accentua la disuguaglianza tra i settori alti e quelli medi e bassi della società con l’impoverimento della classe media, proprio il problema che è clamorosamente emerso nell’elezione presidenziale del 2016.

La ricetta di radicale modifica e riduzione della tassazione quale strumento per aumentare la ricchezza collettiva resta finora una parola d’ordine senza conseguenze pratiche.

Quanto all’orizzonte della politica estera, è opinione diffusa che gli Stati Uniti stiano perdendo quell’egemonia nel sistema internazionale che è stato il carattere dominante dal secondo dopoguerra. Con la nuova presidenza si accentua tale tendenza declinante perché Trump, pur tra oscillazioni caratteriali, insegue una visione contraria agli impegni multilaterali, da sempre la linea direttrice della politica estera americana.

È stato svalutato il carattere fondante dell’Alleanza atlantica quale asse dell’Occidente liberale, a favore di rapporti bilaterali a cominciare da quello con la Gran Bretagna della Brexit, l’Onu è stato svilito invece di essere potenziato e riformato per un mondo fondato sul diritto, sono stati archiviati i trattati di libero commercio internazionale nelle aree dell’Atlantico e del Pacifico e, da ultimo, è stato liquidato l’accordo sul cima per ridurre il riscaldamento globale che Obama con molta fatica aveva stretto anche con i due colossi asiatici dell’inquinamento, Cina e India.

È perciò che agli Stati Uniti non viene più riconosciuto il ruolo di leadership mondiale, come è emerso dal recente viaggio in Oriente.

Questa visione della politica estera, centrata più sull’aspetto commerciale e sull’esibizione della forza militare a scopo dimostrativo che non sulla strategia politica, diplomatica e ideologica, relega l’America a un confronto con la Cina che rischia di essere in prospettiva perdente.

Con il recente libro Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti (Marsilio 2017) ho argomentato che gli istinti di Trump, se pure la sua storia politica viene dal nulla, affondano le radici in un carattere parziale ma profondo dell’America.

È quella parte della nazione carica di paure e ossessioni che nel passato ha dato vita a movimenti politici e sociali che hanno segnato un risvolto dell’identità nazionale contrapposto a quello dell’America come paese della libertà e della società aperta.

L’antica storia dei nativisti, dei populisti, degli isolazionista e degli autoritari ha trovato in Trump l’ultima espressione giunta fino alla Casa Bianca.

 *     ordinario di storia e istituzioni degli Stati Uniti, è autore di numerosi saggi americanistica e frequente collaboratore  con la stampa, la radio e la Tv italiana ed estera.  www.massimoteodori.it