Ogni nostro apprendimento non è altro che reminiscenza (Platone, Fedone, 72)
In un mondo che cambia e si trasforma, aggiornare le competenze è vitale. Il digitale ha fatto molti tentativi di supportare il processo di apprendimento, ma fino ad ora con scarsi risultati. L’insieme di tecnologie, contenuti digitali e metodologie che va sotto il nome di eLearning si è rivelato molto deludente.
Anzi vi è una sorta di paradosso dell’eLearning che, in realtà, dovremmo chiamare più propriamente eTeaching. Lo sforzo finora è stato quasi esclusivamente concentrato nell’automatizzare le lezioni, le attività d’aula, la produzione di contenuti, dimenticandosi quasi completamente di aiutare il discente nel processo di assimilazione e riutilizzo di tali contenuti.
La domanda a cui i progettisti di questi sistemi dovrebbero fare maggiore attenzione è piuttosto: «Quando l’utente è davanti al computer e sta seguendo un percorso di eLearning, come impara davvero?
Impara a memoria quello che sta vedendo sullo schermo? Prende appunti su un block notes che tiene sul tavolo, a fianco del suo PC?
Oppure si ipotizza che il suo apprendimento “rimanga” nel sito dove in quel momento sta vedendo i contenuti e lui vi possa tornare come e quando vuole – anche fra 10 anni – per riprendere e riutilizzare quella conoscenza…?»
Se ci pensiamo bene, quando la cultura era orale l’apprendere era completamente mnemonico e quindi lo sforzo era tutto mentale; con l’arrivo del libro si è naturalmente ridotto lo sforzo mnemonico perché il supporto utilizzato era sempre disponibile per la consultazione e veniva anche personalizzato dal discente (per esempio con le sottolineature o le note a piè o nei bordi della pagina).
Poi è arrivato il digitale: ci saremmo aspettati che con questa nuova tecnologia lo sforzo umano di memorizzazione (molto costoso dal punto di vista dell’energia impiegata e dell’attenzione necessaria) si sarebbe ancor più ridotto … Invece, nei fatti, è aumentato.
Il digitale viene oggi impiegato nei processi di apprendimento unicamente come strumento di produzione di contenuti e non aiuta in nessun modo a organizzare i contenuti e la memoria di colui che deve apprendere. Anzi sempre più frequentemente si rendono disponibili contenuti che sono ancora più difficili da memorizzare o rielaborare.
Se, per esempio, guardo il filmato della lezione di un premio Nobel o un TED talk, quanto più l’intervento è straordinario e affascinante, tanto più difficile è ricordarne i contenuti e riutilizzarli in contesti differenti.
Siamo sedotti dalla notorietà dell’oratore, dalle sue abilità espositive, ma possiamo ricordare (e soprattutto riutilizzare in modo creativo quanto ascoltato) solo se “rompiamo” il flusso espositivo, se decostruiamo l’intervento e ne estraiamo gli elementi informativi, i learning object. Tutto ciò viene lasciato alle abilità del discente, senza oltretutto nessun metodo né strumento digitale a supporto.
Abbiano certamente passato una bellissima ora, ci siamo divertiti, ci siamo anche appassionati ma al massimo siamo rimasti suggestionati; non abbiamo dunque appreso veramente, a meno che non impieghiamo – dopo – molte energie “tradizionali” a selezionare, elaborare, estrarre, rielaborare, associare, arricchire, ricontestualizzare quanto ascoltato.
Uno dei trend più importanti dell’apprendimento sarà organizzare tramite il digitale la propria conoscenza personale.
Si tratterà di costruire dei contenitori personali – digitali – che contengano idee, informazioni, pezzi di libri che ci hanno colpito, appunti sparsi e su cui stiamo lavorando, ricordi, curiosità.
Questo spazio – nella sostanza un sito web accessibile dovunque ci sia un collegamento alla rete – sarà sia una sorta di nostra memoria estesa sia una rappresentazione di noi stessi, dei nostri gusti, delle nostre preferenze. Alcuni lo chiamano “sé digitale”.
La sfida è dunque organizzare il non conosciuto e suggerire nuove correlazioni: «Dimmi come cerchi e ti dirò cosa cerchi» scrisse Wittgenstein nelle sue Osservazioni filosofiche, ribadendo l’importanza degli strumenti di ricerca (e mettendoci implicitamente in guardia anche sul loro potere condizionante…).
Bisogna pertanto costruire ambienti effettivamente centrati sull’apprendimento e non sul semplice scambio di contenuti culturali o sedicenti educativi, spesso trattati come se fossero oggetti da collezione, da esporre in vetrina ma da non utilizzare.
In questo contesto i “siti personali” – spazi web associati a singoli individui e pensati per essere contenitori di conoscenza ed elementi di racconto della propria identità – saranno un elemento chiave.
Essi sono un pezzo di noi stessi sulla Rete; sono un vero e proprio “sé digitale”, elemento centrale nella nuova topologia della mente originatasi dall’interazione dell’uomo con le tecnologie digitali (per un approfondimento: www.agranelli.net).
Già oggi si vedono le prime tracce di contenitori digitali standardizzati per la conoscenza personale. In gergo si chiamano ePortfolio. Il loro taglio è ancora didattico-burocratico e la loro finalità è mostrare le abilità e il know how acquisito dallo studente: infatti l’utente costruisce dinamicamente le relazioni tra dati e informazioni acquisite, sviluppando nei fatti una rappresentazione digitale di una parte della propria conoscenza personale.
Ma i futuri “sé digitali” saranno molto di più: non solo raccoglieranno il materiale formativo e gli spunti di lavoro, ma anche ciò che piace, i propri ricordi, le proprie impressioni, i propri fantasmi.
Anche perché noi “siamo la nostra memoria”. Senza memoria, la nostra identità si dissolve e noi “scompariamo”. Ungaretti ha riassunto questo fatto in un verso potente: «Tutto, tutto, tutto, è memoria».
* fondatore di Kanso e autore di Il lato (ancora più) oscuro del digitale,
Franco Angeli, 2017