Era il 1999 quando l’analista della Goldman Sachs, Kathy Matsui, parlava per la prima volta di Womenomics, ovvero, l’esigenza di superare il divario occupazionale tra uomini e donne nell’economia nipponica. Oggi, quasi 25 anni più tardi, la Womenomics non si è realizzata né in Giappone né nel resto del mondo. Eppure, il 2023 potrebbe essere un anno di svolta, per questo con l’avvocato Andrea Catizone e il Presidente di Federmanager, 4.Manager e CIDA, Stefano Cuzzilla, abbiamo dato alle stampe il volume “She Leads, la parità di genere nel futuro del lavoro”, con cui tracciamo le ragioni di una rivoluzione possibile, a partire dall’analisi delle – numerose – sfide presenti.
Secondo il Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum, l’Italia è ferma al 63° posto su 146 Stati, in termini di disparità di genere per partecipazione economica, livello di istruzione, salute ed empowerment politico. Eppure, se più donne fossero attive nel mondo del lavoro, il Pil italiano potrebbe salire anche del 12% [1] . Ma le donne, attualmente, restano strette tra un mercato del lavoro poco accessibile e un welfare farraginoso che le vede ancora le principali depositarie dei doveri di cura. Così, con un tasso di occupazione femminile pari a circa il 49% nel 2022 [2], l’Italia è con la Grecia il Paese con minore occupazione femminile in Europa. Ed è, al contempo, uno dei Paesi con il tasso di fecondità più basso, solo 1,24 figli per donna. Del resto, la maternità è un ulteriore ostacolo al lavoro, tanto da parlare di child penalty: il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni passa dal 72% per le donne senza figli al 53% per quelle che ne hanno almeno uno di età inferiore ai 6 anni. E in alcuni settori, il gender gap è ancora più evidente. Si pensi alle Stem: in Europa, la percentuale degli uomini che lavorano nel settore digitale è 3,1 volte superiore a quella delle donne e solo il 22% di chi si occupa di Intelligenza Artificiale è donna. Stessa situazione in Italia. E la forbice si allarga se si sale negli organigrammi di tutti i comparti: le posizioni manageriali femminili sono solo il 28% del totale e appena il 18% a livello dirigenziale. Ma come dicevamo, il 2023 può rappresentare un anno di svolta. Ecco perché.
L’Italia oggi è al 63° posto su 146 Stati. Se solo includessimo le donne nel mondo del lavoro, il Pil potrebbe salire del 12%
Il Parlamento europeo ha dato il suo consenso alla direttiva sulle donne nei Cda: entro giugno 2026, tutte le grandi società quotate nell’Ue dovranno riservare al genere femminile almeno il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi e il 33% del totale dei posti di amministratore. In Italia abbiamo sperimentato l’impatto di una normativa simile con la legge Golfo – Mosca che già più di dieci anni fa imponeva quote di genere nei Cda e Collegi sindacali delle società quotate. Parliamo di almeno 1/5 di ciascun genere per la prima elezione degli organi e di 1/3 per le due elezioni successive. La stessa legge è stata, poi, estesa con applicazione immediata anche alle società a controllo pubblico. I risultati sono nei dati: le consigliere, negli ultimi 10 anni, sono passate dal 7% al 37% [3] (variazione dal 2011 al 2020). Anche se, a ben vedere, quando parliamo di Amministratrici delegate o Presidenti, le percentuali scendono bruscamente. In Italia, appena il 3% degli Ad delle società quotate sono donne [4]. Ciò che ci si attende dall’azione del Parlamento europeo è un’ulteriore scossa per far sì che le donne possano sfondare il famoso soffitto di cristallo e conquistare per merito – sottolineiamo – posizioni fino a oggi riservate quasi esclusivamente agli uomini.
A tal fine, gioca un ruolo cruciale il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La parità di genere rappresenta una delle priorità strategiche e trasversali del Pnrr. Gli interventi mirati alle donne sono l’1,6% del totale (3,1 miliardi di euro circa) e si concentrano nelle missioni Istruzione e ricerca e Inclusione e coesione, con due misure principali: il Fondo per l’imprenditoria femminile e il Sistema nazionale della Certificazione di genere per le imprese. Rientrano, inoltre, tra le misure previste, anche la creazione di nuovi asili nido e scuole dell’infanzia, la promozione delle competenze Stem e il potenziamento di politiche attive per ridurre il numero di chi non studia e non lavora (nel 2019, il 33% dei Neet erano donne). Così facendo, il Pnrr promette un aumento dell’occupazione femminile del 4% entro il 2026. Parliamo di impatti che dovranno essere monitorati accuratamente e che, se raggiunti, avranno un effetto dirompente.
Un cambiamento sostenuto anche da un’altra, storica, misura: la Certificazione per la parità di genere, con cui le imprese potranno misurare il proprio impegno in termini di capitale umano ottenendo importanti benefici. Le imprese, infatti, potranno godere di un esonero dal versamento dei contributi previdenziali che sarà determinato in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna impresa. Entro giugno 2026, si stima che almeno 800 Pmi potranno essere certificate e circa 1.000 aziende riceveranno le agevolazioni fiscali. È una grande opportunità per le imprese e non solo in termini economici, ma anche a livello etico e reputazionale. Temi a cui qualsiasi impresa deve prestare attenzione. Il talent shortage e le Grandi dimissioni sofferte negli ultimi mesi sono un evidente campanello d’allarme. Anche per questo, la Certificazione è declinabile su tutte le organizzazioni, a partire dalle cosiddette “micro” imprese. Ogni impresa può e deve sentirsi pienamente responsabilizzata ad affrontare un percorso che è, a tutti gli effetti, di sostenibilità.
Infine, un’ultima e non meno importante riflessione. L’Italia, dal 2022, ha la sua prima Premier donna, Giorgia Meloni. Il fatto che una delle cariche più importanti del nostro Paese sia ora occupata da una donna, è espressione di ciò che dovremmo intendere per “empowerment”, ovvero potenziamento dei talenti e delle opportunità. È la dimostrazione, de facto, che è possibile ambire a un ruolo apicale, anche se mai nessuna donna prima l’ha raggiunto. È una lezione potente per le donne che verranno. E per tutte quelle che, già oggi, chiedono una rivoluzione gentile fatta di equità, merito e accessibilità.
2. per la popolazione tra i 15-64 anni
3. Cfr, Consob (2021), La corporate governance delle società quotate italiane
4. European Women on Boards, 2022