Gli eventi degli ultimi tre anni hanno portato il management ad affrontare sfide complesse, è interessante il titolo di un articolo pubblicato su Bloomberg: “Risk manager is suddenly a hot job”, in cui si evidenzia come la crisi, imprevedibile in questa magnitudo, abbia portato il board a concentrarsi sugli input dei propri risk manager al fine di prendere decisioni che siano sempre più tempestive in scenari volatili e che si stanno realizzando nelle ipotesi valutate come remote.
Il risk management ed il controllo dei rischi, in questi anni di tempeste perfette, hanno mostrato con i fatti che le aziende con funzioni di risk management strutturate sono sopravvissute ai vari “cigni neri”, eventi considerati quasi irrealizzabili e ne sono uscite più forti e consapevoli.
Di qui la complessità e allo stesso tempo l’essenzialità del ruolo del risk manager in una azienda di successo.
Il risk management e il controllo dei rischi, in questi anni di tempeste perfette, hanno mostrato che le aziende con funzioni di risk management strutturate sono sopravvissute ai vari “cigni neri”
Il risk manager deve conoscere profondamente il contesto normativo, regolatorio, competitivo, il business dell’azienda, l’organizzazione, i processi e non si deve limitare a definire key risk indicators e “macinare” modelli, ma deve invece semplificare la complessità, fornire un quadro chiaro in termini di rischi ed opportunità, azioni mitigative e creazione del valore per consentire al management di prendere le migliori decisioni. In tal senso, è necessario che il risk manager scenda in campo lavorando a stretto contatto con i colleghi di line, di staff e di amministrazione, finanza, controllo e pianificazione strategica, in chiave integrata, al fine di:
a) mappare i rischi;
b) allocarli a processi e ruoli;
c) misurarli;
d) definire azioni preventive e/o mitigative;
e) monitorare l’evoluzione in una logica di risk mitigation e creazione di valore.
Tutto parte da un risk assessment pervasivo e profondo finalizzato ad individuare i principali rischi, allocarli a processi e ruoli per garantire “consapevolezza negli attori che operano e decidono”, misurare i rischi, identificare la strategia di rischio, valutarne la probabilità, gli impatti e supportare la definizione di azioni volte a prevenirli e/o a mitigarne gli effetti.
Ovviamente i rischi vanno monitorati, le azioni implementate o sostituite con altre.
Ciò sarà realizzabile con una piena integrazione dei risk manager nei processi decisionali aziendali, perché il lavoro, le analisi, le proposte devono essere fatte ex ante. La velocità nel cogliere i potenziali rischi e la loro magnitudo, la capacità nel comunicarli tempestivamente insieme ad azioni idonee a sventarli o mitigarne gli effetti è una chiave di successo.
Il Risk manager non fa report, non fa fotografie dei problemi, ma analisi, sensitivities, fa “parlare” i modelli e li rende fonte di visioni sulle possibili evoluzioni, lavora in chiave integrata nei processi “sensibili”, cogliendo la rilevanza dei possibili rischi e concentrandosi su quelli rilevanti. È un lavoro ex ante, ma che richiede analisi a ritroso per capire, anche con “l’esperienza del poi” e con adeguati back testing, la tenuta del sistema previsionale e la efficacia delle decisioni ed azioni intraprese.
Le analisi di scenario, i modelli matematici e statistici, sono fondamentali, ma costituiscono strumenti di analisi e non meri “produttori” di indicatori stand alone.
Il manager del rischio, quali competenze dovrà avere? Un mix di competenze hard e soft. Le competenze tecniche sulla parte statistica, matematica sono una componente importante, a cui aggiungere conoscenze di business, regolatorie e normative, di controllo gestione, bilancio e fiscali tramite cui potrà fornire un quadro integrato dei rischi e supportare anche l’individuazione di azioni mitigative.
A queste competenze si devono aggiungere autorevolezza, capacità espositive, di comunicazione, di interrelazione con le altre funzioni o provider di dati esterni, perché ci si ritroverà ad operare in team articolati e trasversali.
Ulteriore fattore fondamentale è l’integrazione delle analisi ad opera del risk manager/risk controller e responsabile pianificazione e controllo. Le analisi devono essere integrate, in quanto Cfo e top management devono avere una vista integrata dei fenomeni: non possono pervenire al top management analisi non integrate sul medesimo fenomeno da parte del risk manager e del controller.
Semplicità, integrazione, sintesi, comunicazione tempestività, interazione, competenza trasversale. Questo si richiede al risk manager.
Per quanto la figura del “nuovo” risk manager sia fondamentale per affrontare l’incertezza degli scenari che ci aspettano, non è tuttavia sufficiente per permettere alle realtà aziendali di gestire con efficacia la complessità del momento. Oggi più che mai è cruciale infatti far evolvere anche i modelli e processi aziendali, per trasformare le valutazioni e le strategie di risk management in una vera e propria leva di gestione attiva dell’azienda, che consenta – anzitutto al top management – di massimizzare il profilo di rischio / rendimento di ogni scelta rilevante che si trovi ad assumere.
Per le Pmi è importante avere risk manager sempre più integrati che abbiano le competenze necessarie ad impostare il framework di risk management e favorire la diffusione della cultura del rischio all’interno dei processi aziendali, anche avvalendosi di temporary manager
In sintesi, la dotazione di mappature dei rischi complete e riconosciute a tutti i livelli aziendali, la continua ponderazione e revisione dei rischi, il rispetto del “risk appetite limit” prefissato in ogni momento decisionale, l’analisi degli scostamenti verso i limiti (esempio profit at risk) come momento di riflessione sulle decisioni assunte e da prendere, l’elevazione dei comitati rischi a momento di sintesi e contestualmente di decisione manageriale, l’utilizzo di dati e tecnologie innovative per affinare la capacità predittiva e le analisi di scenario sono gli ambiti di sviluppo per un modello di risk management evoluto che permetta al Risk manager di contribuire efficacemente al raggiungimento dei risultati aziendali ed a preservare l’azienda non solo nell’operatività ordinaria ma anche, e soprattutto, in situazioni avverse come quelle attuali.
E, per chiudere, una riflessione riguardante le Piccole e medie imprese (Pmi). Anche per le Pmi è necessario puntare sulla adozione di modelli di risk management sempre più integrati. Importante è iniziare il percorso con risk manager che abbiano le competenze necessarie ad impostare il framework di risk management e favorire la diffusione della cultura del rischio all’interno dei processi aziendali, anche avvalendosi di temporary manager che consentano di strutturare la funzione in azienda nel medio termine.
Favorire la diffusione della cultura del rischio all’interno dei processi aziendali, anche avvalendosi di temporary manager che consentano di strutturare la funzione in azienda nel medio termine
In definitiva, le aziende che struttureranno e faranno evolvere i propri modelli di risk management nei processi decisionali e operativi potranno gestire con efficacia il cambiamento, trasformando i rischi in opportunità di stabile creazione del valore ed i manager avranno in tale contesto un ruolo fondamentale. Insomma, la professione del presente e del futuro.