Tra Federazioni Sportive Nazionali e Discipline Sportive Associate, il mondo dello sport è una galassia di organizzazioni che ha il suo centro nel CONI. Abbiamo raggiunto il suo presidente, Giovanni Malagò, per parlare di management, di team building, orientamento al risultato e, soprattutto, di come si costruisce il successo, nello sport e nella vita.
Qual è il segreto per governare un sistema complesso come il CONI? Qual è il valore del “gioco di squadra” per Giovanni Malagò?
Il sistema sportivo italiano è un modello unico nel genere, un mondo fantastico nella sua accezione multidisciplinare. E il CONI valorizza ogni componente, perché lo sport è per tutti, rappresenta una risorsa sociale di fondamentale rilevanza. Per governare una struttura così articolata occorrono trasparenza, collegialità, confronto e coraggio.
Fare squadra vuol dire recepire i dettami della base per costruire un vertice di successo. Dare voce e peso al volontariato, al territorio, a chi fa del nostro movimento uno stile di vita: è mettendo insieme le tante ‘voci’ e facendole diventare un insieme che si costruisce qualcosa di speciale.
Presidente, lei crede nell’uso della delega? Quand’è che essa porta risultati? E come misura quelli dei suoi collaboratori?
Credo molto nei rapporti e nella fiducia relazionale, soprattutto con i collaboratori più stretti. Alla base ci deve essere una significativa considerazione professionale e umana, da alimentare attraverso il dialogo, l’analisi di gruppo, la condivisione delle strategie. Mi piace responsabilizzare, investire sui giovani e dare spazio a chi ha indubbie capacità e può rappresentare al meglio le istanze di cui siamo portabandiera.
Spesso si nota la “solitudine del leader”: grandi decisioni sono il frutto di grandi responsabilità individuali. Quanto c’è di vero in questa affermazione?
Il confronto fa parte del mio DNA. Penso che essere un leader significhi ascoltare tutti e fare sintesi, riuscire a far cooperare il gruppo valorizzando ogni professionalità per il raggiungimento degli obiettivi, senza imporre in modo acritico il proprio pensiero dall’alto della posizione dominante.
C’è qualcuno a cui tributerebbe il suo successo professionale, una figura, un mentore, che le ha trasmesso il senso della leadership?
Ho conosciuto tanti personaggi importanti, cercando sempre di recepire i loro insegnamenti, i segreti, i punti di forza e le peculiarità che li caratterizzavano ma sarebbe inelegante citarne qualcuno a discapito di tanti altri.
Crede che in Italia lo sport sia sufficientemente managerializzato?
E’ un aspetto ormai imprescindibile, non riguarda solo il nostro Paese ma il mondo sportivo nella sua globalità. L’Italia è una realtà all’avanguardia nel contesto internazionale e stiamo crescendo molto sotto questo profilo, anche grazie a un’offerta formativa sempre più specifica e qualificata chiamata a soddisfare le esigenze del mercato.
Servono figure nuove, capaci di ricoprire ruoli nevralgici che richiedono molto di più della conoscenza tecnica e della passione: c’è necessità di un bagaglio culturale che abbracci i molteplici ambiti che riguardano il movimento.
Molti dirigenti sportivi sono ex atleti. Una cosa buona e una cosa meno buona di questa condizione?
Il lato positivo è che conoscono bene questo mondo e le dinamiche che lo governano, avendolo vissuto e apprezzato da una prospettiva unica. Il pericolo è che vedano in questo privilegio, acquisito meritatamente attraverso abnegazione e capacità, la certezza di un futuro garantito.
Non basta solo essere stati atleti per fare la differenza anche dietro la scrivania, è fondamentale un processo di formazione che integri le conoscenze e trasformi quel patrimonio in un vero valore aggiunto.
Perché e come possiamo convincere il sistema Italia che lo sport è anche una leva economica eccezionale, che incide sul nostro PIL?
Il nostro mondo è uno straordinario volano per l’occupazione, per il turismo, è decisivo per i risparmi che determina a livello di spese sanitarie. I numeri ci dicono che il PIL direttamente legato allo sport si attesta intorno all’1,6%, mentre il valore della produzione – anche indirettamente – attivato dal movimento è pari a € 53,2 miliardi.
Sarebbe riduttivo però circoscrivere con i numeri l’incidenza del nostro mondo e i suoi straordinari benefici, che si riflettono a livello sociale, culturale e formativo. La base valoriale che ci contraddistingue deve essere un punto di riferimento per costruire un Paese migliore.
* Giornalista e Vice Direttore Progetto Manager