Donne diverse tra loro in personalità, opinioni e storia individuale. Un intrigante dialogo tra due generazioni distinte, unite dal desiderio di analizzare le sfide emergenti e le opportunità rivoluzionarie del futuro. Due gruppi della nostra Federazione a confronto sui temi più significativi della nostra epoca. Da un lato l’esperienza di Melania Angotta, avvocato, Presidente di Federmanager Toscana e componente del Gruppo Senior di Federmanager. Dall’altro, la tenacia di Mariangela Febo, North West Logistics Manager presso Q8 Kuwait Petroleum Italia S.p.a. e componente del gruppo Giovani di Federmanager. Ma veniamo subito al punto.
In Italia, secondo la sua opinione, una leadership al femminile è possibile?
Febo: A mio parere dobbiamo partire da una distinzione, quella tra leadership femminile e femminilità della leadership. Veniamo da un retaggio secondo il quale una donna, per raggiungere i vertici di un’azienda ed essere credibile sul mercato, è costretta ad assumere gli stessi atteggiamenti adottati da un uomo. Riapplicare modelli maschili nella leadership non è la chiave per guidare meglio un’impresa. E lo possiamo dimostrare: pensiamo all’emotività, una caratteristica comune del genere femminile, spesso vista, a torto, negativamente. In realtà l’emotività racchiude un’attitudine molto ricercata tra i dirigenti che è l’empatia, la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”, percepire le sue emozioni, i suoi pensieri. Ecco perché sono convinta che una leadership delle donne sia possibile, purché venga espresso, a testa alta e a ogni condizione, il proprio lato “femminile”.
Veniamo da un retaggio secondo il quale una donna, per raggiungere i vertici di un’azienda ed essere credibile, è costretta ad assumere gli stessi atteggiamenti adottati da un uomo
Angotta: Sono d’accordo sull’idea che l’emotività della donna possa essere percepita come “un’arma a doppio taglio” nello svolgimento di una professione, se non si converte in empatia. Le donne devono tirar fuori con orgoglio la loro personalità, farsi accettare per quello che sono senza emulare comportamenti che non appartengono loro.
Durante il suo percorso professionale ha mai incontrato difficoltà nel raggiungere determinati ruoli?
Febo: Essendo un ingegnere, sin da subito mi sono dovuta confrontare con un mondo e un settore prettamente maschili. Ad oggi posso dire di aver raggiunto un obiettivo tanto importante quanto ancora non scontato: ricopro il ruolo di responsabile del mio settore, e sono, contemporaneamente, una mamma. Voglio dire a tutte le donne che conciliare vita lavorativa e vita privata è una sfida, non senza sacrifici, che si può affrontare e vincere. Non è vero che dobbiamo scegliere per forza tra l’una o l’altra strada.
Angotta: Ho sempre cercato di essere me stessa nonostante le difficoltà incontrate durante il mio percorso, soprattutto nei primi tempi. All’età di 26 anni da Messina sono approdata a Firenze, in un’azienda di fatto per soli uomini. Lavoravo come ispettrice, un ruolo molto poco conosciuto ma che, così giovane, mi ha portata a coordinare l’ufficio legale del compartimento. Una rivoluzione per l’epoca. La mia forza è stata quella di lavorare con passione e non chiedere nulla di diverso rispetto ai colleghi maschi. Ciò che contava era il merito, il rispetto, l’onestà. Ancora oggi, però, non vedo cambiamenti concreti nella leadership. Bisogna spingere in tutti i modi per aumentare il numero di donne alla guida delle aziende.
Sul lavoro, i manager sono sempre più consapevoli dell’importanza del benessere dei dipendenti e di quanto questo elemento sia essenziale anche per la produttività aziendale. Lo sostiene anche il Presidente Cuzzilla nel suo nuovo libro “Il buon lavoro. Benessere e cura delle persone nelle imprese italiane”, scritto insieme alla giornalista Manuela Perrone. Come è cambiata negli anni la concezione di benessere lavorativo?
Angotta: Qui, rispetto al tema della leadership femminile, noto un profondo cambio di rotta. In passato, un manager entrava in azienda con lo scopo di restare, crescere e maturare al suo interno. Oggi si cambia rapidamente, si fanno nuove esperienze per arricchire il proprio bagaglio di competenze. Inoltre, grazie alla tecnologia e a nuovi modi di fare impresa, ciascuno ha il tempo di coltivare le proprie passioni e aspirazioni, di essere più presente per i propri affetti. Anche il rapporto tra datore di lavoro e dipendente cambia. C’è più collaborazione e meno subordinazione e questo le giovani generazioni hanno iniziato a percepirlo.
Febo: Siamo in un periodo di transizione dove tutto, soprattutto il lavoro, sembra essere temporaneo, precario. Le risorse, anche quelle più valide, decidono di optare per un’esperienza lavorativa che non necessariamente duri per tutta la vita. Stare in azienda non dipende più dal tipo di lavoro che si svolge, ma anche e in particolar modo da come lo si vive. Ed ecco che per le imprese e i manager, il benessere in ogni sua sfaccettatura diventa lo strumento per trattenere risorse. Non parliamo solo di benefit “materiali” offerti come lo smart working, la mensa, la palestra. L’ambiente di lavoro diventa cruciale per ogni individuo. Se il work environment è accogliente, sano e positivo, le persone si sentiranno più motivate a produrre, responsabilizzate e gratificate. E anche l’azienda trarrà benefici in termini di incremento delle performance e di reputation.
Oggi, grazie a nuovi modi di fare impresa, ciascuno ha il tempo di coltivare le proprie passioni e aspirazioni, di essere più presente per i propri affetti. Anche il rapporto tra datore di lavoro e dipendente cambia
Le pensioni. Tema scottante che ha portato la nostra Federazione a lanciare, insieme a Cida, una petizione per la salvaguardia del ceto medio. Come definisce il nostro sistema pensionistico attuale? Qual è la sua opinione?
Angotta: Il nostro Paese è vittima di un’anomalia che è quella che riguarda l’assistenza e la previdenza. L’Inps è incaricato di erogare sussidi di assistenza con i contributi derivanti dalle pensioni, ma non è corretto sostenere che in Italia la spesa pensionistica sia di gran lunga superiore a quella di altri paesi europei. È più alta perché non si tratta solo di spesa previdenziale ma anche di quella assistenziale. L’obiettivo è scindere l’assistenza dalla previdenza. La spesa assistenziale deve essere coperta da altri introiti e non da quelli provenienti dalle pensioni. È fondamentale intervenire su questo punto.
Febo: Faccio parte di quel gruppo di persone che vede la pensione come una chimera. Questo perché, sin dalle prime esperienze, sapevamo che non sarebbe stata sufficiente a garantirci un adeguato livello di vita una volta raggiunta l’età pensionabile. Resta una questione da decifrare: l’eventualità che l’assegno pensionistico, oltre a essere insufficiente, arrivi più tardi rispetto ad oggi. E poi: chi pagherà le nostre di pensioni, dato che i giovani sono sempre meno? Le domande sono molte, ma c’è una unica certezza a mio avviso: avvalersi di una pensione integrativa, che diventa davvero necessaria.
Stare in azienda non dipende più dal tipo di lavoro che si svolge, ma in particolar modo da come lo si vive. Ecco che per imprese e manager, il benessere diventa lo strumento per trattenere risorse
La doppia transizione, digitale e ambientale, rappresenta una sfida e un’opportunità per il nostro Paese. Gestirla richiede una visione a lungo termine e investimenti strategici. Come vede il futuro della doppia transizione?
Angotta: La transizione digitale e ambientale è in atto e non si deve fermare. L’ obiettivo, per fa sì che questa venga compiuta correttamente, è investire sui giovani, allineare le loro competenze a quelle richieste dalle aziende. Sì, perché il mondo del lavoro soffre, ancora oggi, del cosiddetto skill mismatch. Università e aziende dovranno lavorare affinché domanda e offerta si incontrino. Per quanto riguarda la transizione ambientale, che ritengo avrà tempi lunghi, sarà necessaria una diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico e di figure manageriali pronte e competenti a guidare la transizione.
Febo: Della doppia transizione si parla, ormai, in ogni realtà industriale. La transizione digitale, rispetto alla nascita di Internet, è stata ancora più veloce. Basti pensare a tutte le innovazioni tecnologiche che in poco tempo hanno trasformato le nostre vite e il nostro modo di lavorare, a partire dall’intelligenza artificiale. Lo stesso non posso dire di quella ambientale che, a mio giudizio, non sarà così rapida. Avremo bisogno di una “compagine di energie”, quelle di oggi e quelle di domani. La richiesta energivora nel nostro Paese sarà sempre più alta e dovremo utilizzare tutto ciò che è a nostra disposizione.
Quali sono gli obiettivi che vi ponete per il 2024, come gruppo Giovani e gruppo Senior di Federmanager?
Febo: Lo scopo è quello di far sentire sempre più la voce dei giovani all’interno del sistema Federmanager. Sicuramente continueremo a promuovere il Premio giovane manager, il nostro fiore all’occhiello, attraverso il quale ci proponiamo di valorizzare, riconoscere e premiare le competenze dei migliori giovani associati under 44. Questo per attirare, all’interno del nostro gruppo, i colleghi che desidereranno farne parte, ma anche per mantenere vivo l’interesse di quelli già iscritti.
Angotta: Parlo da Presidente di Federmanager Toscana. Lo scorso anno, abbiamo lavorato per aumentare il numero di iscritti della nostra area territoriale e ci siamo riusciti con successo. Il primo obiettivo del gruppo sarà quello di convincere i colleghi pensionati che la Federazione si impegna realmente per la salvaguardia delle loro pensioni. Più iscritti siamo più forza contrattuale avremo. Quindi, organizzare eventi, attività, corsi di aggiornamento sulle nuove tecnologie, sarà essenziale perché nessuno rimanga indietro e per rafforzare il senso di appartenenza all’Associazione.