In un presente in costante cambiamento, si evolvono e modificano gli oggetti, le mentalità, le esigenze e con essi naturalmente lo studio e la formazione. La trasformazione digitale, che si è accelerata in quest’ultimo periodo, sta perfezionando i metodi formativi scolastici, universitari e lavorativi. Il capitale umano resta centrale e se ne coglie l’urgenza di valorizzarlo all’interno di progetti che mettano le persone al centro dell’innovazione, per migliorare la qualità dello studio e, come diretta ricaduta, la competenza professionale, la competitività e le performance aziendali. Delle nuove sfide collegate all’evoluzione della formazione e al modo in cui siamo chiamati ad affrontarle, abbiamo parlato con il Prof. Carlo Alberto Pratesi, ordinario di Economia e Gestione aziendale al dipartimento di Economia aziendale dell’università Roma Tre.
Professor Pratesi, l’emergenza sanitaria degli ultimi due anni ha cambiato il modo di studiare e lavorare. In questo contesto, che ruolo assume oggi la formazione nei suoi diversi ambiti: universitario, aziendale, manageriale, per gestire questo cambiamento?
La formazione è lo strumento più importante per realizzare la transizione ecologica, che al di là di tutto è la sfida più grande che l’umanità dovrà affrontare nei prossimi decenni. E questo a tutti i livelli: dalla scuola primaria ai dottorati di ricerca. Non solo ci servono competenze, visto che purtroppo il tasso di scolarizzazione italiano è tra i più bassi in Europa, ma servono soprattutto competenze nuove, competenze che richiedono un approccio interdisciplinare, molto diverso da quello che è stato adottato negli ultimi secoli.
Da questo punto di vista qualche novità c’è stata negli ultimi due anni dovendo metterein piedi una “didattica a distanza” generalizzata…
L’emergenza sanitaria ha soltanto accelerato un’evoluzione che di fatto, anche se troppo lentamente, era già in atto. Adesso serve innovare velocemente non solo le modalità con le quali si eroga la formazione, dato che le tradizionali lezioni ex cathedra sono ormai indigeste per tutti, ma anche i programmi e i contenuti. Per questo occorrono docenti nuovi, disposti a ripensare tutti i processi formativi. Capaci di capire quando è necessario investire in attività “in presenza” in ambienti fisici adatti, e quando è sufficiente l’online, nella consapevolezza che i corsi fruiti da remoto richiedono tempistiche e modalità di interazione con l’aula molto, molto diverse.
La formazione, dunque, sempre più strumento centrale per affrontare e gestire le grandi sfide del nostro tempo che ne mutano contesto e condizioni di vita. É d’accordo?
Certamente, pienamente d’accordo.
Su cosa si dovrebbe puntare a suo avviso per conciliare e integrare la formazione con l’innovazione tecnologica e gli effetti che essa determina, ad esempio, con la cosiddetta transizione digitale?
Quando si pensa alle tecnologie digitali per la formazione il problema non è nelle tecnologie: quelle esistono, ci sono già e sono più che sufficienti. Mi riferisco alle piattaforme di streaming, alla realtà aumentata e virtuale, e così via. Il problema è ripensare ai programmi e ai tempi.
In che senso?
Un’ora e mezza in un’aula ad ascoltare un docente vanno bene se il docente è capace, ma lo stesso tempo davanti a uno schermo è insostenibile, anche laddove il docente sia molto capace. Affinché l’apprendimento sia effettivo, la formazione deve prima di tutto ingaggiare e trattenere gli studenti: se questo non avviene, i contenuti non passano. Come diceva Plutarco: “Gli studenti non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere”, e l’”accensione” quando si è a distanza, è molto più difficile. Ecco allora che i docenti/formatori dovrebbero andare a scuola da chi “sa” come ingaggiare la platea. Penso, per esempio, ai registi cinematografici, gli attori teatrali, agli autori televisivi…
Affinché l’apprendimento sia effettivo, la formazione deve prima di tutto ingaggiare e trattenere gli studenti: se questo non avviene, i contenuti non passano
Per chiudere, se dovesse dirlo con una battuta: come immagina la formazione del futuro per far crescere e rafforzare la cultura manageriale del nostro Paese?
Direi una formazione meno simile alla liturgia della messa e più vicina alle serie tv. L’aula per come l’abbiamo interpretata nel passato, e che sopravvive ancora oggi, assomiglia troppo ad una funzione religiosa in chiesa, essendo predisposta per avere uno solo che parla dal pulpito e tanti che ascoltano in silenzio, dove l’unica interazione è l’esame con il giudizio finale, che è proprio ciò che accade con la confessione.
Come immagina quindi debba essere la formazione del futuro?
Per il futuro immagino una formazione che sappia trasferire contenuti molto complessi in modo facile. Penso che dovremmo imparare da Alberto Angela, che è un maestro nella semplificazione di temi complessi, e da Netflix o da altre piattaforme in tema di ampiezza dell’offerta ed esperienza di consumo. Mi rendo conto che questo implica un bagno di umiltà, soprattutto per gli accademici, ma del resto basta constatare la capacità di attenzione delle nuove generazioni per capire che non ci sono alternative.