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Donne che cambiano le aziende

In pochi anni aziende e lavoro sono drasticamente cambiati. Può essere utile, per questo, guardare ad alcune esperienze di donne che appaiono anticipatrici di questo modo nuovo. Perché, se finora nel management c’è stato solo pensiero maschile, le donne – arrivate in tempi relativamente recenti – hanno portato un altro punto di vista. E questo allarga gli orizzonti manageriali.

Queste donne aprono nuove strade perché non partono dai modelli consolidati, ma dalla realtà che hanno davanti e da quello che a loro sembra giusto e possibile.

Non per ignorare quanto è stato fatto prima, ma per guardarlo criticamente, perché ogni situazione, ogni tempo, ha una sua specificità contingente. E solo tenendo conto di questo si può trovare la soluzione migliore.

Hanno così realizzato politiche che sono andate oltre i convincimenti e le prassi abituali del management, con risultati positivi. Non si tratta dunque di qualche nuovo modello teorico, ma di un management che c’è, è reale. Per questo è utile metterne a fuoco gli orientamenti e i criteri che possono essere trasmessi e utilizzati. Vediamone alcuni aspetti.

Cominciamo da una svolta fatta da molte manager, che sono entrate nei luoghi decisionali alti ma senza adeguarsi all’esercizio del potere che lì domina, inteso come comando, dominio, controllo. Hanno portato invece una propria concezione dell’azienda, vista come un luogo dove convergono soggetti diversi con interessi diversi, ma di tutti si deve tenere conto perché tutti contribuiscono a crearne il valore.

Da qui sono partite molte esperienze diverse, che convergono però su due orientamenti di fondo.

Molto esteso è il convincimento che la crescita dell’azienda passa anche dalla crescita delle persone che lavorano. Non un insieme di mansioni rigide, ma soggetti che possono dare contributi maggiori se il management li mette in condizioni di esprimere le loro potenzialità. Le persone si possono formare e trasformare.

Citiamo alcune politiche molto rilevanti che hanno rovesciato l’organizzazione del lavoro, oggi ancora in prevalenza finalizzata al controllo, puntando invece sulla responsabilizzazione e autonomia diffusa di tutto il gruppo di lavoro. Ma è anche interessante che altre politiche abbiano in altri modi puntato a cercare, portare alla luce e valorizzare capacità nascoste. Come una risposta al difficile momento in cui le aziende hanno sempre meno risorse da investire: tirare fuori tutte le energie presenti in azienda e non utilizzate.

Un altro orientamento di fondo è vedere il lavoro non come un mondo separato dal resto della vita. Perché chi vive bene lavora bene. Certamente numerose sono state le nuove politiche per dare sostegno nel momento della maternità e rendere possibile il rientro al lavoro (per esempio, con contributi economici per l’asilo), ma anche per salvaguardare l’identità lavorativa della donna, garantendo continuità e qualità del lavoro dopo il rientro (con un programma di coaching, per fare un altro esempio). Così anche l’azienda non perde il valore del lavoro di quelle donne: esperienza, formazione, motivazione….

Ma più in generale le donne hanno portato una nuova concezione del tempo che riguarda tutte le persone che lavorano: separare il tempo dall’orario. Il tempo di lavoro non è l’orario di lavoro. Si è introdotta così una remunerazione per risultati invece che per ore passate in azienda, con flessibilità di orario e valutazione per obiettivi.

Sono solo rapidi accenni alla ricchezza di pensieri e pratiche realizzate da queste manager. Eppure non sono politiche facili, occorre fatica (far crescere è più faticoso che comandare) e anche coraggio (chi detiene il potere contrasta ciò che cambia lo status quo su cui si regge). Tuttavia queste donne hanno usato lo spazio di discrezionalità insito nel loro ruolo per fare cose che ritenevano più sensate in azienda. Non si sono arrese all’idea che sia impossibile cambiare.

*manager e autrice di “Esplorare i confini. Pratiche di donne che cambiano le aziende

( Ed. Guerini  Next, 2016)