L’Italia è ai primi posti nella classifica mondiale sul diritto alla salute. Accesso alle cure per chiunque, servizi di buona qualità e senza “barriere” di tipo economico: il Servizio Sanitario Nazionale, che quest’anno spegne 40 candeline, brilla tra i principali Paesi industrializzati nella speciale graduatoria realizzata dall’Oms, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità.
Un ranking che è stato rilanciato a livello globale proprio di recente, in occasione della celebrazione (lo scorso 7 aprile) della Giornata Mondiale della Salute, organizzata dalla stessa Oms. Un appuntamento che si è fissato anche “un obiettivo sostenibile di sviluppo” da raggiungere entro il 2030: la copertura sanitaria universale per le prestazioni essenziali, cioè quella che oggi manca purtroppo, a metà della popolazione mondiale.
Qualche numero significativo? Circa 100 milioni di persone cadono in una condizione di “povertà estrema” (sotto 1,9 dollari al giorno) a causa delle spese sanitarie e il 12% della popolazione mondiale spende il 10% del proprio reddito per spese legate alla salute; in alcuni Paesi, addirittura, si arriva ad una spesa sanitaria del 70% tutta a carico del cittadino.
E l’Italia? Per quanto riguarda la copertura universale garantita ai propri cittadini spicca tra gli Stati migliori al mondo.
A tale proposito è bene precisare che l’indice messo a punto dall’Oms nel proprio “Tracking universal health coverage: 2017 Global Monitoring Report”, messo a punto per la prima volta analizzando un campione davvero ampio (183 Paesi), varia a seconda dei continenti: Far East, Europa e Nord America si attestano in media attorno a 77 punti, l’Africa Sub Sahariana ha il valore più basso (42 punti) mentre l’Asia del Sud si attesta a quota 53.
L’Italia, con un valore indicato come superiore a 80, spicca ai primi posti insieme con Danimarca, Francia, Islanda, Giappone, Lussemburgo, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Portogallo, Corea del Sud, Singapore, Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti. Siamo nell’élite, insomma: un piccolo gradino sopra, per esempio, Germania e Finlandia, che si fermano a quota 79 punti.
Ma quello dell’Oms non è l’unico riconoscimento ottenuto di recente dal nostro Servizio Sanitario Nazionale. Nei mesi scorsi l’approfondito studio “State of Health in the European Union” realizzato dall’Ocse con schede e valutazioni ad hoc per ogni Paese, aveva evidenziato che, con una speranza di vita alla nascita di 82,7 anni, l’Italia si colloca al secondo posto tra i Paesi dell’Unione europea (dietro alla Spagna), con due anni in più rispetto alla media del Vecchio Continente.
La speranza di vita, infatti, è aumentata di 2,8 anni tra il 2000 e il 2015. Il tema vero (e al tempo stesso la grande sfida per il futuro della sanità italiana) oltre alla “quantità” è anche la “qualità”, visto che il nostro Paese arretra in classifica quando si prende in considerazione il numero di anni vissuto dopo i 65 anni senza malattie invalidanti.
Per raggiungere questo obiettivo, come evidenziato da numerosi e autorevoli osservatori, bisogna agire su due fronti: da una parte con la prevenzione, dall’altra con il riconoscimento a tutti gli effetti di un ruolo di rilievo alla sanità integrativa, non come alternativa al sistema pubblico ma in un’ottica di complementarietà, come da anni sostiene Assidai. In questo modo il Servizio Sanitario Nazionale potrà essere ancora più solido ed efficace.