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Crescere nel mondo

Pubblichiamo un estratto dell’intervento del Vicepremier e Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, in occasione della nostra Assemblea nazionale.

Grazie caro Presidente, grazie per l’invito,

è nostro dovere essere qui per dirvi cosa pensiamo, che visione abbiamo dell’Italia: un Paese a vocazione industriale e agricola che ha bisogno anche di servizi.

Siamo un Paese con 4 milioni di piccole e medie imprese che sono certo frutto dell’intuizione imprenditoriale, ma l’impresa è fatta dall’imprenditore, dal capitale economico e soprattutto dal capitale umano.

Senza capitale umano nessuna azienda è in grado di realizzare progetti e di crescere. Ecco, questa Italia, fatta di imprese industriali, di imprese agricole, è un’Italia che ha un grande ruolo da svolgere nel mondo.

Siamo la seconda potenza manifatturiera d’Europa e siamo un Paese del G7, fra i grandi dell’Occidente. Proprio dal prossimo primo gennaio, l’Italia avrà la guida del G7 per tutto il 2024.

Qual è quindi l’obiettivo che dobbiamo porci rispetto a questa straordinaria realtà che si chiama Italia? È quello di favorire la crescita del Paese per permettere a 60 milioni di italiani di vivere meglio. Ma bisogna avere una visione complessiva e il nostro Governo fortunatamente è un Governo coeso, è un Governo che ha una visione comune e strategica delle cose da fare.

La competitività è lo strumento per crescere e, insieme alla competenza, è lo strumento per risolvere i problemi. Il nostro straordinario tessuto di imprese è ciò che ci ha permesso di resistere alla crisi del Covid, che ci ha permesso di ottenere i fondi del Recovery plan e che ci permette oggi di essere un grande Paese europeo che non è in recessione e che non andrà in recessione. Circostanza che è capitata alla Germania e che è capitata all’Olanda. Questo perché c’è un tessuto connettivo che riesce a resistere, ad andare avanti nonostante le difficoltà. Il Governo ha il dovere di aiutare e di creare buone regole. Io credo molto poco allo Stato imprenditore, anzi sono sempre più convinto che serva meno Stato e più impresa nell’economia.

Il nostro straordinario tessuto di imprese è ciò che ci permette oggi di essere un grande Paese europeo che non è in recessione e che non andrà in recessione

Lo Stato deve dare buone regole, deve vigilare che le regole siano rispettate, ma credo che un incremento di privatizzazioni faccia bene alla nostra economia, faccia bene al nostro Paese e lo renda ancora più moderno. Ci sono tanti servizi che possono essere privatizzati, che possono essere gestiti meglio, tante cose si possono fare con una maggiore presenza del privato, ma questo presuppone che il privato sia in grado di avere una classe dirigente capace di fare tutto ciò. Ecco perché è importante la formazione, ecco perché è importante il ruolo delle università e della scuola secondaria per formare manager moderni, competitivi.

La formazione costante, il ruolo delle università, oggi è determinante. E sono, ahimè, troppi gli italiani che non si laureano. Siamo in coda alle classifiche europee per il numero di giovani laureati. Non è una semplice questione di titolo da appendere nello studio, è questione di conoscenza.

Abbiamo bisogno di manager di alto livello se vogliamo essere veramente competitivi. Perché non possiamo solo lamentarci degli altri, dobbiamo essere in grado di vincere la concorrenza ed è chiaro che servano buone regole che permettano di concorrere. Quelle europee vanno cambiate perché sono ancora regole risalenti agli anni Sessanta e non tengono conto di ciò che sarebbe accaduto in Cina, della caduta del Muro di Berlino, della crescita dei Paesi africani, del Brasile, dell’India. Noi abbiamo già una buona classe di dirigenti d’azienda e spesso anche una buona classe di dirigenti delle pubbliche amministrazioni. Ma purtroppo non sono sempre valorizzati, non sono sempre messi nelle condizioni di fare. Perché spesso la responsabilità se la macchina della burocrazia non funziona è della politica, che non riesce a metterla in movimento.

Un Paese come il nostro, a vocazione industriale, vive nel suo prodotto interno lordo di circa il 40% di export e nonostante la recessione che c’è in Germania, dove l’80% di un’auto tedesca è costruito grazie a componentistica italiana, stiamo continuando a esportare bene e tanto nel resto del mondo. Ma per fare questo bisogna avere una visione, bisogna avere una strategia, bisogna avere donne e uomini in grado di realizzare progetti, di portare i nostri prodotti, di internazionalizzare le nostre imprese e di occupare spazi di mercato che oggi sono ingiustamente occupati dall’Italian sounding, cioè dalle copie o dalle brutte copie di ciò che si può produrre in Italia.

Come Paese industriale, dobbiamo ad esempio svolgere un ruolo ancora più importante nei Balcani e lì servono industrie competitive, servono manager capaci di vincere le sfide con una concorrenza che certamente è agguerrita.

Dobbiamo farlo in India dove stiamo già ottenendo degli ottimi risultati, così come dobbiamo farlo nel continente africano, in America Latina, e nell’intera regione dell’Indo-Pacifico. Dobbiamo farlo altresì andando anche a esplorare, sempre più, il mercato cinese che non è certamente facile, ma che non dobbiamo abbandonare.

Per andare a giocare queste “partite in trasferta”, serve la politica che accompagni le imprese, ma serve anche che le imprese siano dotate di giocatori di alto livello: formati, determinati, competitivi, capaci, che parlino le lingue, che siano in grado di tutelare l’interesse dell’impresa, che è poi anche l’interesse nazionale.

Non c’è visita che io faccia all’estero in cui non incontri importanti manager di aziende italiane dicendo loro: «Voi non siete soli, voi avete alle vostre spalle un Governo che sostiene la vostra attività, un Governo che vi accompagna e vi aiuta nei momenti in cui ci sono da superare ostacoli».

Come Governo, noi dobbiamo far capire a quelli tra voi che operano in Cina, in Giappone, in India, negli Stati Uniti, in Canada, in Africa, che sono parte integrante del sistema Italia e rappresentano uno strumento determinante per la crescita del nostro Paese. Ma dirò di più: sono anche parte determinante della politica estera del nostro Paese.  Perché la politica estera non viene fatta solo dal ministro e dai diplomatici, la fanno tutti gli italiani, compresi i manager, che rappresentano aziende italiane al di là dei confini nazionali.

Voi non siete soli, voi avete alle vostre spalle un Governo che sostiene la vostra attività, un Governo che vi accompagna e vi aiuta nei momenti in cui ci sono da superare ostacoli

C’è molta più voglia di Italia di quanto noi pensiamo che ce ne sia.  Perché l’italiano è sempre in grado di affrontare e risolvere un problema; perché è duttile e malleabile e, come diceva Berlusconi, sa farsi concavo e convesso. Questa è una dote che non tutti hanno. Il manager italiano è sempre in grado di far uscire fuori la sua italianità, che è un requisito molto positivo.

Per far contare l’Italia, pertanto, ho bisogno di voi, ho bisogno dei vostri colleghi che in giro per il mondo, magari da tanti anni, rappresentano il nostro sistema nazionale. E poiché stiamo ragionando sulle prospettive di crescita, voglio aggiungere una riflessione su quello che dovrà essere il futuro patto di stabilità e crescita.

Non è soltanto stabilità, è stabilità e crescita. Allora devono esserci delle regole che possano permettere la crescita, perché abbiamo visto che la politica del rigore e basta non porta da nessuna parte. Anche in questo caso, serve un’Italia che sappia contare ed è ciò che stiamo facendo, a livello europeo, per permettere al nostro sistema di essere sul serio competitivo nel mondo. Io ho insistito molto sul tema del rischio di depotenziare il sistema bancario, non perché non ritenga giusto che le banche in un momento difficile debbano dare un sostegno allo Stato, ma perché un sistema bancario forte agevola l’accesso al credito e garantisce stabilità al Paese. Perché se in un momento di crisi il sistema bancario è debole, crolla il Paese.

È necessaria una visione comune, che preveda la competitività ma un quadro di regole. C’è poi un tema giustizia civile: infatti, i tempi biblici del processo civile nel nostro Paese portano a una perdita di circa il 3% del prodotto interno lordo ogni anno.

Le riforme devono essere fatte, le stiamo facendo e stiamo andando avanti. Serve una rivoluzione burocratica: basta con i timbri e le carte! Se vogliamo attrarre investimenti, non possiamo costringere un imprenditore americano ad aspettare un anno, un anno e mezzo per avere l’autorizzazione a realizzare un impianto. Poi magari se ne va da un’altra parte dell’Europa e lo riesce a realizzare in breve tempo. Questo significa perdita di competitività.

E noi abbiamo bisogno anche di dare coraggio ai manager dell’amministrazione pubblica.

Sono in tanti quelli bravi, dobbiamo evitare che vadano all’estero. Perché noi abbiamo tanti manager bravissimi nel privato, ma a volte nell’amministrazione pubblica rischiamo di perderli e non solo a vantaggio del privato. Se ne vanno all’estero e questo significa perdere cervelli che possono favorire la competitività e la crescita del nostro Paese.

Ecco, le riforme rappresentano uno strumento fondamentale, e mi riferisco anche a quella del sistema di Governo, che era un grande sogno di Berlusconi. Ma perché lui, che era così affascinato dalla politica estera, si rendeva conto che vedere interlocutori cambiare indeboliva quel Paese che ogni volta inviava un proprio rappresentante diverso da quello che aveva inviato alla riunione precedente. Perché è anche una questione di conoscenza personale, di stabilità.

Se l’Italia cambia ministro degli Esteri, ministro dell’Industria, Ministro della Difesa ogni anno, come può essere credibile nei confronti di interlocutori che magari rimangono lì 3, 4 o 5 anni?

Ecco perché serve questa stabilità, anche per dare credibilità a tutto il nostro sistema Paese. Sarà facile? Non sarà facile. No, non è affatto facile, però è importante avere una visione e la determinazione ad andare avanti, anche nella riduzione della pressione fiscale. Noi infatti, per ben due volte consecutive, abbiamo tagliato il cuneo fiscale nel nostro Paese. E anche la manovra che si sta discutendo oggi comporta un taglio di oltre 16 miliardi di tasse.

Un Paese cresce se non è costretto a pagare troppe tasse e questa è un’altra scelta che favorisce la crescita economica e la competitività. Non basta, certo, non basta, bisogna fare ancora di più, ma siamo anche consapevoli della contingenza economica.

Noi vorremmo che i manager fossero parte integrante di questa strategia complessiva di sviluppo. Il manager rappresenta un elemento fondamentale per la crescita economica e dobbiamo sapervi ascoltare anche quando ci sono cose che non vanno. Io imparo tantissimo quando incontro i rappresentanti delle aziende italiane in giro per il mondo e questa vostra conoscenza, questo vostro sapere è utile non solo all’azienda per la quale lavorate, ma è utile nel complesso all’Italia.

Un Paese cresce se non è costretto a pagare troppe tasse e questa è un’altra scelta che favorisce la crescita economica e la competitività

Tanti anni alla guida di aziende, tanti anni di responsabilità, anche in aziende diverse, sono un patrimonio, un bagaglio che nessuno vi potrà togliere e che voi potete regalare ai nostri concittadini. Ecco perché noi continueremo a fare in modo che il vostro lavoro possa essere agevolato da buone norme, da buone regole.

Lo farò, per quanto di mia competenza, per permettere di lavorare bene e per permettervi di dare lustro al nostro Paese, ottenendo risultati lusinghieri per la nostra economia, anche attirando investimenti in Italia. Perché il vostro lavoro serve a rafforzare il sistema imprenditoriale italiano del quale tutti quanti siamo fieri.