Tenendo conto dell’evoluzione delle professioni in un ambito internazionale, abbiamo scelto di adottare un progetto di certificazione delle competenze manageriali riconosciuto e affidabile.
Siamo convinti che il nostro sistema industriale, composto prevalentemente da imprese piccole – per non dire micro -, deve cominciare a darsi una certa dinamicità, altrimenti rischia di non avere un grande futuro.
Se l’orizzonte è Industry 4.0, robotica, intelligenza artificiale e così via, il primo gap da superare è di tipo culturale. Le nostre imprese sono prevalentemente familiari e sappiamo che c’è diffidenza a far entrare professionalità esterne alla proprietà. A questa resistenza culturale da vincere si somma un altro aspetto: un manager ha evidentemente un costo, anche in uscita. Questa è la ragione per cui abbiamo siglato un contratto collettivo nuovo che attenua fortemente questo tipo di criticità.
Abbiamo dunque scelto di individuare i profili che riteniamo siano più giusti per questa tipologia di aziende e più adatti a reinserire i colleghi che in questi anni hanno perso il posto di lavoro. Il tutto sulla base di un protocollo di certificazione molto serio, e che parte da un disciplinare che è stato realizzato da manager, quindi da persone competenti che sanno esattamente quali tipi di competenze, caratteristiche, esperienze servono veramente. Abbiamo affidato la certificazione ad un ente accreditato sul mercato, affinché tutto avvenga in modo trasparente, in una logica che porta valore alle iniziative che promuoviamo come Federazione.
Siamo partiti dall’export manager, prendendo spunto da un’iniziativa del MISE che voleva promuovere questa figura per dare un’opportunità alle imprese più piccole ad uscire dal mercato solo domestico.
La seconda figura che vogliamo certificare è quella del “manager di rete”. Nel nostro sistema, le imprese, se vogliono andare avanti, o crescono o si mettono insieme. E’ necessario che qualcuno abbia la capacità, anche empatica, di gestire il processo di aggregazione, ma anche di creare valore, costruendo nuove opportunità di business per tutte le imprese coinvolte.
La terza figura è quella del “temporary manager”. Federmanager è e resta un’organizzazione che stipula contratti collettivi ma, allo stesso tempo, sa riconoscere l’utilità di promuovere la figura del “temporary”, creando perfino una società ad hoc che è CDI Manager. Il temporary manager gestisce la discontinuità nelle piccole aziende, sa focalizzarsi su determinati processi e prodotti, cercare in qualche modo di dare quella spinta in termini organizzativi che possa aiutare a gestire il problema che si presenta.
Da ultimo, abbiamo messo a punto la figura dell’innovation manager, ovvero il digital transformation manager. Poiché l’industria italiana è una industria di tipo tradizionale in cui conta molto la capacità di fare, la tecnologia deve essere messa al servizio di questa capacità per fare meglio in termini produttivi.
Ecco perché abbiamo proposto una “terza via” tutta italiana all’Industry 4.0: poiché siamo un paese ancora fortemente parcellizzato, dotato di pochi grandi player, la cultura digitale e innovativa deve calarsi nella filiera. Per fare questo abbiamo proposto la creazione di piattaforme territoriali e locali, dove si sviluppino competenze adeguate da mettere in rete. Non si tratta di inserire in azienda gli esperti ICT ma quelle persone con l’esperienza manageriale in grado di trasferire la nuova cultura digitale nel processo produttivo tradizionale. In definitiva, consentire a ciascun lavoratore di fare il salto di qualità che serve ad essere più dinamici e più produttivi.