Per la prima volta nell’esperienza negoziale del management industriale, dopo le innumerevoli novità normative susseguitesi nel tempo, Federmanager è riuscita a introdurre un Piano di welfare aziendale che coinvolge tutto il management. L’azienda è TIM e l’accordo quadro che introduce il Piano prevede un mix di interventi tra prepensionamenti e incentivi all’esodo che riguardano alcuni colleghi.
Mi soffermo però sul Piano di welfare perché esso, sebbene sia nato all’interno di una trattativa sulle risoluzioni, è destinato a interessare tutta la dirigenza TIM per il biennio 2018-2019 in via sperimentale; poi, se avrà successo come ci auguriamo, sono già tracciati i presupposti affinché diventi strutturale.
Il Piano prevede che ogni manager abbia a disposizione un valore sotto forma di credito pari a 1.600 euro annui, non monetizzabile, da fruire per tutti i servizi messi a disposizione da TIM.
Sono somme che, rientrando nel trattamento economico complessivo, sono sottoposte ai vantaggi fiscali derivanti dall’evoluzione del quadro normativo che regolamenta il welfare aziendale.
Difatti l’articolo 51 del TUIR (Testo Unico sulle Imposte sui Redditi) prevede che non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente una serie di servizi, contributi ed erogazioni pagati dal datore di lavoro in favore della generalità dei dipendenti o di categorie di essi. Il vantaggio per i lavoratori dipendenti è la possibilità di fruire in toto dei benefit senza che il relativo valore economico incrementi il reddito imponibile in busta paga, con le relative ripercussioni sul piano fiscale.
Recependo i vantaggi di questa normativa di favore, seguendo la linea che sta percorrendo con sempre maggior convinzione il nostro legislatore, il Piano che oggi vale per TIM fissa anche per tutti gli altri una prima importante pietra miliare.
Tale esperienza di welfare nella contrattualistica infatti costituisce un’unicità nel suo genere al punto da poter rappresentare un modello replicabile in altre realtà aziendali.
Il vantaggio potrebbe essere addirittura maggiore se si potesse convertire anche il premio di produttività, in tutto o in parte, in servizi di welfare accedendo così a quel regime fiscale di favore che scatta alla presenza di precisi requisiti di legge.
Pertanto, viene offerta una doppia chance ai dipendenti che, in esecuzione del contratto, avessero a disposizione sia premi di produttività che benefit aziendali: sono liberi di scegliere tra le due possibilità vedendo applicato, in alternativa, un trattamento fiscale o l‘altro, ovvero, addirittura, sono liberi di “mixare” le due soluzioni.
Per la categoria dei dirigenti ciò risulta, purtroppo, vero solo in parte: nonostante non vi sia alcuna esclusione specifica, purtroppo, il limite reddituale posto (pari a 80.000 euro annui) permette un’applicazione molto limitata del secondo regime fiscale, vale a dire l’imposta sostitutiva del 10%, e della possibilità di fruire di somme e valori ricompresi nel welfare aziendale in sostituzione del premio.
Per i manager, quindi, al momento, resta perseguibile principalmente la “via contrattuale agevolata” tracciata dal nuovo art. 51 TUIR.
Per scongiurare il rischio di creare differenze nel godimento dei diritti tra categorie di lavoratori, Federmanager si è battuta e continuerà a farlo affinché l’asticella del limite reddituale, sebbene incrementato nel corso degli anni, possa ulteriormente elevarsi o, nella migliore delle ipotesi, essere totalmente abolito.