Dopo una gestazione complessa, il decreto denominato “Sblocca cantieri” è formalmente nato. Gli effetti si potranno stimare in un anno, ma nei prossimi mesi sarà già evidente se le misure contenute nel provvedimento saranno funzionali a raggiungere l’obiettivo prefisso, sin dalla stessa intitolazione del decreto.
Partiamo dalla previsione di affidamenti diretti degli appalti di lavori sotto i 40 mila euro, e di una procedura negoziata con l’invito di almeno tre imprese da 40 a 200 mila. Sono misure utili ad accelerare una quantità rilevante di procedure, con impatto diretto su un numero molto elevato di microimprese edili, specialmente nel Sud. A rendere più automatiche queste gare si aggiunge la previsione del diverso criterio di aggiudicazione costituito dal minor prezzo. Il che equivale a snellire procedimenti, prevenendo al contempo contenziosi in ordine all’applicazione delle nuove regole.
In secondo luogo, modificazione senz’altro rilevante è quella che riguarda il subappalto.
È un adeguamento dell’Italia all’Europa, che ci ha recentemente invitato a correggere le norme interne, non conformi al diritto comunitario: tra queste, appunto, quella che disciplina il rapporto tra appaltatore e subappaltatori. D’ora innanzi il limite per l’affidamento del subappalto cresce al 50% dei lavori, e al tempo stesso viene meno l’obbligo per le imprese concorrenti di indicare la terna dei subappaltatori in fase di offerta. Anche questa novità può essere accolta nel complesso con un giudizio positivo, perché semplifica la partecipazione alle gare e rende più significativa l’autonomia negoziale delle imprese appaltatrici.
Terza novità: il passaggio (all’indietro, nel solco della tradizione italiana) dalle linee guida Anac, troppe e in perenne gestazione, a un regolamento unico che possa rappresentare la fonte certa e più chiara possibile della disciplina in materia di contratti pubblici. Un dato non di scarso rilievo, dal momento che tra i principali ostacoli allo sviluppo del Paese v’è l’incertezza delle leggi, che alimenta contenzioso e frena la crescita.
Quarta novità, la più impattante, è la previsione di organi straordinari per guidare l’iter di approvazione e realizzazione delle grandi opere. Sono i cosiddetti commissari, che con la loro entrata in campo certificano e comprovano la sostanziale inadeguatezza dell’amministrazione italiana a rispettare tempi certi e rapidi. Una inadeguatezza che è frutto di un sistema normativo arcaico, che soffoca la funzione pubblica (per questo il termine burocrazia oggi è sinonimo di lentezza e farraginosità) con un mix di oneri, rituali e obblighi insostenibili, da un lato, e regimi di responsabilità, dall’altro, del tutto ingiustificati e sproporzionati rispetto al trattamento economico e giuridico del funzionario pubblico.
Intendiamoci bene: ciò che rende il commissario “più bravo” del burocrate competente in via ordinaria è il potere, per l’appunto speciale, di derogare (rectius: non rispettare) la legge e i suoi rituali dispendiosi e lunghi. Insomma, il commissario ha l’autorizzazione a superare i limiti di velocità, a marciare in senso vietato, a prendere la scorciatoia, nel preminente obiettivo nazionale di arrivare prima alla meta.
Se il fine giustifica i mezzi, potremmo averne solo effetti parziali e limitati, pur sempre positivi, se resterà una misura eccezionale senza essere seguita da una più generale innovazione della macchina amministrativa e della legislazione dei lavori pubblici.
Per iniziare può andar bene, ma a condizione di ritenerlo solo il primo passo.
Al Paese non basta un decreto-legge per rialzarsi ma occorre un programma organico e concreto che, al di là del nomen iuris, parta dalle regole e arrivi agli obiettivi. In tempo.