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Amazon, modello labor intensive

Un viaggio nei siti Amazon presenti in Italia. Da quello storico di Castel S. Giovanni fino all’ultimo nato di Passo Corese

Per avere un successo di dimensioni globali occorre essere visionari, crederci e perseverare. I risultati talvolta tardano, anche quando parliamo di business innovativi, come è avvenuto in Amazon.

Fondata con il nome di Cadabra.com da Jeff Bezos a Seattle il 5 luglio 1994, lanciata nel 1995, Amazon raggiunge un utile d’esercizio nel 2003, ben otto anni dopo. Partita come libreria online, ha ampliato successivamente la gamma dei prodotti venduti. La numero uno tra le internet company al mondo, leader nell’e-commerce, globale con sede anche in Italia. La sua forza di penetrazione è importante anche nel business B2B: molte piccole imprese possono arrivare a far conoscere e vendere i loro prodotti grazie allo straordinario bacino clienti connessi da ogni parte del mondo.

La curiosità è d’obbligo. Amazon va vista con i propri occhi.

Così siamo andati a visitare i loro siti: quello storico, a Castel S. Giovanni in provincia di Piacenza, nell’ambito di un interessante percorso formativo su “Industry 4.0” organizzato dalla nostra management school, Federmanager Academy e quello, arrivato su gentile invito di Passo Corese, l’ultimo aperto alle porte della Capitale.

Un’azienda diversa da come la immaginavo, questa la mia impressione.

Siamo stati accolti dai responsabili delle strutture, giovani e molto motivati, che hanno presentato la società e le attività svolte. I siti si assomigliano, salvo la dimensione maggiore del primo, una diversità su alcune linee di prodotti gestiti e, nell’ultimo nato, la fase di allocazione dei prodotti che beneficia dell’ausilio di un magazzino automatico in cui gli scaffali scorrono su binari.

Mi sarei aspettato di trovare un’azienda simbolo 4.0, capital intensive in cui regna sovrana la tecnologia. In realtà, la tecnologia è a monte, con la sua piattaforma e le sue applicazioni che ne fanno un’azienda vincente per inserire e accompagnare il cliente nella sfera virtuale, con una vetrina in grado di “catturare” i suoi bisogni e fidelizzarlo. Non a caso nella strategia del suo fondatore si parla di “ossessione al cliente”. Una volta ricevuto l’ordine, però, tutto diventa più normale, molto tradizionale.

Ho visto centinaia di persone giovani lavorare a ritmi molto sostenuti in strutture molto ampie. Direi, quindi, una moderna azienda labor intensive almeno fino alla fase di confezionamento del pacco da spedire, con postazioni di lavoro ben organizzate nel reperimento dei materiali, supportate da tecnologie che semplificano lo svolgimento delle operazioni ripetitive e aumentano la produttività.

La tecnologia vince, anzi direi stravince, nella fase finale in cui i prodotti posti su un carrello trasportatore vengono automaticamente dirottati verso il gate che ne indentifica la destinazione. Niente a che vedere con robot collaborativi, sistemi di realtà virtuale, additive manifacturing e quant’altro assomigli all’intelligenza artificiale.

A pensarci bene, stiamo parlando di attività operative che nel concreto non sono complesse, anche se richiedono comunque buona organizzazione e quindi dei manager capaci. La vera sfida non è confrontarsi con le nuove tecnologie ma resta quella più classica, che da sempre riguarda la gestione delle risorse umane e la capacità di tenerne alta la motivazione.

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