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Alle fonti

Abbiamo bisogno di energia, per i consumi civili così come per quelli industriali. Dopo le crisi innescate da pandemia e conflitto in Ucraina, si ripensano gli approvvigionamenti. Con l’obiettivo di decarbonizzare.

L’Italia, come seconda manifattura europea ed una delle sette economie più avanzate del mondo, è uno dei Paesi grandi consumatori d’energia. Le limitate disponibilità di risorse energetiche proprie l’hanno resa però dipendente dalle importazioni, anche per la rinuncia all’opzione nucleare, imponendole di impostare la sua politica energetica su due obiettivi cardine: la sicurezza e l’economicità degli approvvigionamenti.

La sicurezza, per garantire il soddisfacimento di una domanda che è quasi costantemente cresciuta per decenni, fino alla vigilia dello scoppio della crisi globale del 2008 e l’economicità, per assicurare la competitività della nostra economia e delle nostre aziende sui mercati internazionali.

Anche se la dipendenza dall’estero è stata, tranne gli ultimi anni, quasi sempre tra l’80 ed il 90 %, l’ampia disponibilità sui mercati internazionali di petrolio, gas naturale e carbone, fatti salvi i temporanei episodi di crisi, ha comunque consentito la piena copertura del fabbisogno interno. Ciò, grazie anche all’esistenza di un comparto petrolifero solido, caratterizzato dalla presenza di tutti i grandi operatori internazionali e da una importante industria di raffinazione. Ma grazie altresì all’attività di Eni che, per quanto riguarda il gas naturale, oltre a valorizzare le non rilevanti risorse interne, ha tessuto una rete diversificata di rapporti e di presenza in tutti i principali Paesi produttori dai quali è stato possibile importare gas.

Né vanno dimenticati i contributi che sul fronte elettrico hanno dato, ai fini della sicurezza, Enel e gli altri operatori nazionali, con la valorizzazione delle grandi derivazioni d’acqua per lo sfruttamento delle risorse idroelettriche disponibili e con lo sviluppo di una rete di trasmissione interconnessa con tutti i Paesi confinanti.

In queste condizioni i costi di approvvigionamento sono stati quelli dettati dai mercati internazionali, anche se per i consumatori italiani il raffronto con gli altri Paesi è stato condizionato, oltre che dalla componente fiscale in alcuni casi estremamente gravosa, dal diverso peso delle singole fonti, che ha certamente penalizzato l’Italia, data la rinuncia al nucleare e il peso molto scarso del carbone.

Con la crisi globale del 2008, è iniziato però un processo di progressiva riduzione della domanda energetica e una lenta decrescita del tasso di dipendenza.

Sull’andamento della domanda hanno pesato fattori diversi. Inizialmente proprio l’impatto della crisi economica seguita agli eventi del 2008. Poi le decisioni prese dall’Ue a valle della firma dell’Accordo di Parigi sulla lotta ai cambiamenti climatici, che hanno portato all’approvazione, prima del Green Deal e poi del Fit for 55. Con tali provvedimenti sono stati fissati obiettivi sempre più restrittivi sulla riduzione delle emissioni di CO2 ed il raggiungimento del net zero al 2050, indicando tra le principali linee di intervento:

  • l’abbandono delle fonti energetiche fossili;
  • lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile e, in quei Paesi che lo ritengono opportuno, del nucleare;
  • la riduzione dei consumi di energia, favorendo il risparmio e perseguendo la massima efficienza in tutti i settori;
  • il crescente utilizzo dell’energia elettrica, in quanto energia che meglio si presta a diventare green con il passaggio alle fonti rinnovabili e che può essere utilizzata anche nei trasporti su strada, settore nel quale i carburanti di origine fossile sono tutt’ora dominanti;

A questi fattori, in parte di origine economica, in parte derivanti da decisioni politiche, se ne sono aggiunti negli ultimi anni altri, del tutto imprevisti, come la pandemia da Covid-19 e l’invasione russa dell’Ucraina.

Entrambi questi eventi hanno avuto effetti dirompenti sulla domanda energetica. Ma se la pandemia con la sua diffusione globale ha avuto un impatto che si è scaricato in maniera abbastanza uniforme su tutti i Paesi e su tutte le economie, la guerra russo-ucraina è stata un fenomeno essenzialmente europeo, le cui ricadute si sono risentite quasi esclusivamente in Europa ed in particolare in Paesi come Germania e Italia che maggiormente dipendevano dal gas russo.

Si è trattato di ricadute che hanno riguardato non solo il blocco degli approvvigionamenti ma altresì la crescita incontrollata dei costi, in quanto lo sconvolgimento dei mercati ha prodotto aumenti vertiginosi dei prezzi che in certi momenti, per il gas, hanno raggiunto quotazioni speculative insostenibili sia per i consumatori civili sia per quelli industriali che si sono trovati a competere con operatori di Paesi che hanno risentito minimamente o affatto di tale fenomeno.

L’eccezionalità di questa situazione, soprattutto per le forniture di gas, ha imposto all’Ue ed agli Stati membri l’attivazione di misure, sia comuni sia dei singoli, per cercare le soluzioni di emergenza che consentissero di garantire la copertura dei consumi civili ed industriali, senza tuttavia deflettere dalla traiettoria della decarbonizzazione.

A livello europeo, la Commissione ha operato su due linee. Una di breve termine, per il superamento delle emergenze poste dalla interruzione delle forniture di gas russo. L’altra strategica e di più lungo periodo, condensata nel piano d’azione RepowerEu, basato sulla contemporanea ricerca della crescita della autonomia energetica interna e l’accelerazione del processo di transizione verso la decarbonizzazione, con lo sviluppo delle fonti rinnovabili, l’incremento degli obiettivi di efficientamento dei consumi, il rafforzamento degli interventi di riduzione delle emissioni di CO2.

L’impegno più immediato della Commissione si è rivolto al superamento dell’emergenza, con l’adozione di misure che hanno richiesto agli Stati membri la preparazione di piani di riduzione dei consumi, la disponibilità a interventi di solidarietà verso quelli in maggiore difficoltà, l’impegno nel riempimento degli stoccaggi per fronteggiare la maggiore domanda dei periodi invernali.

Per l’azione di contrasto ai rilevanti aumenti delle quotazioni del gas la capacità di intervento della Commissione europea è stata più incerta.

Infatti, la richiesta italiana di fissare un limite massimo (cap) alle quotazioni speculative della Borsa Ttf di Amsterdam, cui fanno riferimento le contrattazioni sul gas a livello europeo, è stata tenuta a lungo sospesa e solo dopo un anno di faticose trattative è stata finalmente accolta.

Anche i singoli Paesi, soprattutto i più esposti come Germania ed Italia, si sono mossi autonomamente per trovare soluzioni alternative alla fine delle esportazioni russe.

L’azione dell’Italia è stata particolarmente efficace, grazie alla capacità dell’Eni di sfruttare i suoi rapporti consolidati e le infrastrutture di trasporto esistenti con i principali produttori di gas dell’area mediterranea, a cui ui si è aggiunta la possibilità di maggior ricorso alle importazioni di Gnl con l’installazione da parte di Snam di due unità di rigassificazione galleggianti, collocate nei porti di Piombino e Ravenna.

A livello europeo, la Commissione ha operato su due linee. Una di breve termine, per il superamento delle emergenze poste dalla interruzione delle forniture di gas russo. L’altra strategica e di più lungo periodo, condensata nel piano d’azione RepowerEu

Ciò ha consentito all’Italia di ridisegnare le linee di rifornimento del gas e di superare senza traumi la crisi della fine del gas russo, tranne i già richiamati impatti sui prezzi di gas ed elettricità che, dopo i picchi insostenibili del 2022, sono comunque rimasti sensibilmente superiori ai livelli pre-crisi.

Gli effetti di questa combinazione di azioni di breve e medio lungo termine hanno già inciso parzialmente sull’andamento della domanda energetica, sia per quanto riguarda l’ammontare complessivo sia per l’apporto delle singole fonti.

Andamento del fabbisogno energetico in Italia: dal 2000 al 2022

*esclusa la porzione di biofuels Fonte: Elaborazione su dati Eurostat

Consumi di fonti energetiche primarie in Italia (Mtep)

Fonte: Elaborazione su dati MASE ed UNEM

Un contenuto miglioramento si è registrato anche nell’intensità energetica del Pil e sul tasso di dipendenza dalle importazioni dall’estero, scese intorno al 75% grazie al contributo crescente delle rinnovabili.

Ma gli obiettivi posti degli impegni presi a livello europeo e recepiti dall’Italia nel Piano nazionale integrato energia clima (Pniec), in corso di aggiornamento, indicano che la strada da percorrere è ancora lunga e in salita e che i target al 2030 che la precedente versione del Pniec aveva indicato risultavano almeno in parte di difficile raggiungimento.

È mancato finora quello scatto in avanti dell’accelerazione dei tempi dei processi autorizzativi essenziale per la crescita delle rinnovabili, ma anche per dare piena attuazione agli impegni del Pnrr. Ma mancano anche certezza di indirizzo in alcuni settori come quello della mobilità sostenibile, l’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare, il rapporto tra utilizzo dei suoli e sviluppo dell’energia fotovoltaica, una visione condivisa per una riduzione dei prezzi dell’energia. Incertezze che vanno rapidamente sciolte per non far perdere all’Italia la possibilità di competere alla pari con gli altri partner europei e sui mercati globali.

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