“Scomparirà il lavoro?” è una domanda condizionata, a cui si può rispondere soltanto dopo avere replicato ad alcune, precedenti, domande. E la prima concerne proprio la “rivoluzione tecnologica 4.0”.
Non abbiamo ancora iniziato a digerire Industria 4.0 che già si vede arrivare in modo prepotente Industria 5.0, governata dalla Intelligenza Artificiale (AI).
Per AI s’intende in questo caso la capacità di elaborare grandi quantità di dati, con cui descrivere e interpretare la realtà, consentendo alle macchine di orientarsi e reagire nel nuovo contesto.
Con Industria 5.0, alla raccolta dei dati e alla capacità di conservarli ed elaborarli si aggiungono le macchine che possono “imparare autonomamente” e “interpretare” i dati e il mondo stesso, con un passaggio sempre più compiuto dal digitale al reale.
In questo contesto tutto cambia così in fretta che ogni equilibrio appena intravisto viene messo in crisi da altri fattori incipienti, come dimostra il crescente divario tra produttività e occupazione, che Eric Brynjolfsson e Andrew McAfee, della MIT Sloan School of Management, hanno evidenziato a partire dal 2013.
Per esempio, se automazione e robotica riducono i vantaggi dell’outsourcing manifatturiero nei paesi a più basso costo del lavoro, con l’avvento della Intelligenza Artificiale, la scomparsa di lavori qualificati può provocare un conseguente calo dei consumi e un ulteriore calo occupazionale.
La Intelligenza Artificiale incide sulla occupazione, ma anche sul “digital divide 5.0”, aggravando le distanze tra di chi ne dispone e chi non ne dispone, con rilevanti problemi etici e politici: non a caso i grandi gruppi dell’informatica si stanno confrontando su nuove regole di comportamento.
Dopo un periodo di grande segretezza, molte società del settore, da Google alla sua analoga Cinese Baidu, hanno iniziato ad aprire le proprie piattaforme di AI per renderle accessibili ai possibili utenti, dai produttori di auto o di macchine utensili, fino a rivolgersi alle istituzioni Finanziarie o Sanitarie.
Significativo è l’ultimo intervento di Satis Nadella, CEO di Microsoft, che ha reso pubblica l’apertura della versione più recente di Microsoft Cognitive Toolkit, un sistema congegnato per rendere possibile il “deep learning” e per accelerare l’apprendimento non solo in aree quali il riconoscimento delle parole e delle immagini, ma in ogni ordine di AI.
L’intelligenza artificiale, è ormai chiaro, rappresenta un elemento trainante di crescita e si prevede che molto presto tutti i settori industriali della manifattura ai servizi dovranno essere pronti ad utilizzarla.
Valutando i relativi complessi effetti occupazionali, alcuni pensano che l’Italia potrebbe andare meglio di altri paesi europei proprio perché, paradossalmente, vanta un sistema industriale caratterizzato da dimensioni piccole e medie, dove la qualità continua a fare aggio sulla quantità.
Per la diversità delle condizioni di partenza e degli obiettivi da perseguire secondo le caratteristiche di ogni paese, il problema occupazionale connesso all’avvento dell’Intelligenza artificiale impone scelte articolate di natura sociale e culturale.
Non basta orientarsi sulle occupazioni dello STEM (Science-Technology-Engineering-Mathematics), ma è necessario che gli interventi formativi, infrastrutturali, in primis la banda larga, quelli finanziari e fiscali, quali previsti dal piano del Governo per l’Industria 4.0, si inquadrino una sistematica e responsabile riflessione programmatica.
Ciò comporta che l’innovazione – sia 4.0, sia 5.0 – se tigre deve essere, venga considerata come una tigre che si può cavalcare, tenendo conto dei vari interessi in gioco: per esempio, non soltanto quelli dei produttori, ma anche quelli degli utenti e dei consumatori, cioè della società nel suo complesso.
* Alessandro Ovi e Gian Piero Jacobelli, MIT Technology Review Italia