Arte e cultura sono la culla dei popoli. Per l’Italia parliamo di un patrimonio smisurato, incomparabile a qualsiasi altro al mondo per storia, diversità di linguaggi, originalità e concentrazione. Un giacimento etico e civile a cui ognuno di noi può attingere. Una grande ricchezza su cui esercitiamo un fascino a livello internazionale che attrae investimenti, e non solo turisti.
Arte e cultura sono sacche di resilienza nei periodi di crisi e volano di sviluppo per l’economia.
Al sistema produttivo e creativo si deve oltre il 6% del valore aggiunto italiano: nel 2018 era pari a oltre 95,8 miliari di euro, con un risultato di +2,9% rispetto all’anno precedente, impiegando 1,55 milioni di occupati (+1,5 sul 2017).
Esiste poi un effetto moltiplicativo: ogni euro prodotto dall’industria culturale ne attiva 1,8 negli altri settori. Si calcola che l’intera filiera culturale nel suo complesso superi i 265 miliardi di euro.
Questi dati, evidenziati nel rapporto “Io sono cultura” del ministero dei Beni culturali, fotografano un dinamismo eccellente che contraddice nei fatti quella retorica che afferma che di cultura non si possa vivere. Con la cultura, invece, si mangia eccome!
L’effetto competitivo è confermato dal fatto che le aree geografiche dove il fatturato della cultura è maggiore sono anche quelle dove è più forte la vocazione manifatturiera.
L’industria culturale si compone di musei, aree archeologiche, musica, festival, cinema, letteratura, teatri ma anche di tutto il made in Italy, dal design, all’architettura, alla moda. Lo sforzo di garantire al settore risultati economici è realizzato da oltre 400 mila imprese che stanno affrontando la maggiore delle sfide: l’impiego delle tecnologie digitali nell’offerta artistica e culturale.
Non stupisce leggere che gli “Innovation manager” stiano diventando una delle figure più ricercate anche in questo campo. La combinazione di competenze diverse non può prescindere dall’individuazione di manager con forti competenze interdisciplinari, di gestione e di innovazione.
Serve la capacità di rapportarsi con la specificità del settore, ma anche di fare investimenti per l’ammodernamento tecnologico dei beni culturali, servono l’attenzione all’integrazione con il territorio e la spinta all’internazionalizzazione. Nessun museo, oggi, può vivere senza la giusta integrazione tra dimensione pubblica e privata, senza ricercare finanziamenti indipendenti, senza contatto con altri settori economici. La tendenza delle aziende private a investire in cultura è inoltre sempre più significativa ed è un trend da intercettare.
Non dico che vadano estromessi architetti, archeologi o artisti dalla conduzione dei musei, o delle aree archeologiche o dei conservatori. Sostengo piuttosto che maggiore spazio deve essere assicurato all’approccio manageriale. La categoria del manager culturale avrà senso di esistere soltanto quando il metodo e le competenze manageriali saranno prerequisito per qualsiasi incarico di direzione artistica.