Con opere di Giotto, Botticelli, Leonardo, Michelangelo e Caravaggio, per non parlare di maestri quali Piero della Francesca, Raffaello, Pontormo e Tiziano, gli Uffizi di Firenze forniscono una sequenza logica e cronologica senza pari della pittura italiana fino al ‘600. Si confermano peraltro il museo statale italiano più visitato della penisola: 2.230.914 ingressi nel 2018. Nel 2015 l’ex ministro dei Beni culturali Dario Franceschini aveva raggruppato sotto una unica istituzione, chiamata Gallerie degli Uffizi, anche i musei di Palazzo Pitti e il Giardino di Boboli in Oltrarno, così nel 2018 il trio museale ha contato 4.153.101 visitatori totali «con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente, quando erano stati 3.918.350», secondo i dati del sito web ufficiale. Conduce questa «macchina» il cinquantunenne tedesco Eike Schmidt: dopo aver guidato la sezione di scultura del museo di Minneapolis, lo storico dell’arte è stato nominato direttore nel novembre 2015, nella stagione in cui l’allora ministro dotò gli Uffizi e altri 19 istituti di autonomia amministrativa e scientifica. L’incarico, quadriennale, scade a novembre. Ad agosto 2017 Schmidt ha infatti annunciato, con somma sorpresa dello stesso Franceschini, che dal primo gennaio 2020 dirigerà il Kunsthistoriches Museum di Vienna. Se andrà davvero nella capitale austriaca o resterà è, almeno a metà luglio, un enigma che il tempo scioglierà. Quanto alle raccolte d’arte pubbliche, servirà sapere che nessun museo pubblico europeo può reggersi solo sui biglietti, neppure il più visitato al mondo come il Louvre con i suoi 10 milioni di ingressi nel 2018.
Eike Schmidt. Foto: Gallerie degli Uffizi, Firenze
Direttore, come si reggono finanziariamente gli Uffizi?
Diversamente da altri musei abbiamo più autofinanziamenti. Anche rispetto ad altri musei internazionali abbiamo una struttura di finanziamento differente. Il Louvre riceve comunque la metà dei fondi dallo stato. La nostra autonomia è parziale perché non comprendeva né comprende le spese per il personale: tutti i dipendenti statali vengono e saranno pagati dal ministero dei Beni culturali – MiBAC. Tuttavia devolviamo circa il quaranta per cento degli introiti allo stato o anche ad altre entità, ma ci avviciniamo a un autofinanziamento totale: è importante premetterlo. Se volessimo fare uno studio economico sugli Uffizi dovremmo mettere anche queste cifre nel conteggio.
Nessun museo pubblico europeo può contare solo sui biglietti, neppure il Louvre con i suoi 10 milioni di visitatori all’anno
Quanto incassate?
Con i biglietti oltre 29 milioni di euro l’anno. Poi ricaviamo altri 5 milioni di introiti diretti e indiretti, ad esempio attraverso le concessioni, il ristorante, i diritti d’immagine; inoltre riceviamo donazioni dirette di 1 milione all’anno. Altre donazioni non appaiono in bilancio perché vanno all’associazione degli amici degli Uffizi la quale investe a nostro favore, per esempio per grandi progetti di restauro oppure per i riallestimenti di più sale. Il totale quindi è di 34-35 milioni di euro l’anno ed è in costante aumento: quando sono arrivato era meno della metà. Ora registriamo maggiori entrate grazie ai biglietti sia attraverso introiti diretti e indiretti sia attraverso le attività commerciali.
Ma prima Boboli e Pitti erano separati.
Sommando le cifre precedenti arrivavano ai 15 milioni di euro, Pitti era spezzato in due percorsi diversi, i visitatori avevano la frustrazione di vedere alcuni musei abbinati al Giardino di Boboli e altri no. Abbiamo creato un’offerta più chiara e questo ha aumentato l’afflusso.
Funziona? Come?
Ora è semplice. Si possono comprare tre biglietti separati per Uffizi, Pitti e Boboli o un biglietto molto scontato valido per tre giorni per i tre istituti. È l’innovazione che si vende di più e, rispetto ai prezzi precedenti, chi prende il biglietto per i tre musei spende meno. Sarebbe pertanto sbagliato dire che abbiamo aumentato il biglietto: lo abbiamo aumentato per gli Uffizi singoli, leggermente aumentato per Pitti, abbassato per Boboli. Inoltre abbiamo diminuito i prezzi per tutti e tre in bassa stagione: siamo il primo museo internazionale al mondo con un biglietto stagionale. E funziona benissimo, anche se non è l’unica leva per distribuire i visitatori. In precedenza il museo si concentrava sull’estate, ora facciamo esposizioni, convegni, concerti tutto l’anno: questo ha dato un notevole incremento alla bassa stagione.
Quali rapporti ha il direttore con le istituzioni cittadine? Appena arrivato, tramite altoparlanti lei avvisò i turisti di non affidarsi a chi nel Loggiato degli Uffizi fa bagarinaggio dei biglietti e i vigili urbani le consegnarono una multa per aver violato dei regolamenti. Fu paradossale.
Sì, fu curioso, ma la vita supera quanto possiamo inventare. Sul momento mi arrabbiai parecchio ma dal giorno successivo lo ricordo come una cosa buffa. Abbiamo contatti molto fitti con i vigili urbani, con i carabinieri abbiamo rapporti istituzionali ancora più stretti e quotidiani: c’è una loro stazione agli Uffizi e una a Pitti dove ha sede anche il nucleo toscano del comando di tutela.
Abbiamo introdotto il biglietto stagionale: si fanno esposizioni, convegni, concerti non solo d’estate ma tutto l’anno e funziona benissimo
Come si regola con il comune chi ha un incarico come il suo?
Occorre concertare il più possibile. Anche se il governo e il comune oggi hanno partiti diversi, si sono intensificati i contatti: come museo statale autonomo siamo nella gerarchia del MiBAC e c’è un contatto diretto con il comune.
L’apporto dei privati?
Esistono due modelli concorrenziali: uno vuole che tutte le attività culturali siano pagate dal contribuente e che i musei debbano solo spendere; per varie persone è l’ideale ma anche in Italia la realtà è diversa. Il modello estremo “altro” è quello nordamericano che conosco bene per averci lavorato 15 anni: il 100% è finanziato dai privati. Lì c’è concorrenza tra i privati i quali esercitano una sorta di controllo alla Montesquieu, nel senso che nessun privato può mettere il suo nome sulla facciata del museo, non può mettere didascalie con il suo logo alle opere, non può vendere i suoi prodotti, né dire quali artisti comprare proprio perché gli altri privati direbbero di no. Se si concede a qualcuno gli altri non donerebbero più nulla.
In Europa il modello nordamericano non funzionerebbe.
No. Ma con la Grecia a un estremo e gli Stati Uniti a un altro, in tutto il resto del mondo valgono modelli misti, Russia e Cina incluse. I musei si finanziano attraverso gli ingressi e un parziale contributo dello stato, oppure anche tramite fondazioni. L’importante è dare regole chiare e che sia il museo a stabilire le priorità: ogni tanto un privato vuole restaurare un Botticelli, ma nessun Botticelli qui ha bisogno di interventi per cui facciamo restaurare un altro dipinto, un Andrea del Castagno per esempio. La maggior parte dei privati lo capisce.
Nel 2015, quando Franceschini nominò direttori stranieri in sette dei venti musei statali che dotò di autonomia, fioccarono le polemiche. Tuttora molti, anche e non solo nelle forze di governo, vorrebbero solo italiani in posizioni apicali.
Dal punto di vista dei fiorentini sarebbe molto peggio avere agli Uffizi un pisano o un senese rispetto a un inglese o un tedesco! Al di là della battuta, nessuno mi ha detto in faccia “sei tedesco”. La mia opinione? Per un’organizzazione, privatistica o pubblica, è importante avere persone che abbiano iniziato a lavorare lì a venti anni, che la conoscano dall’interno e ci rimangano per l’intera carriera. Allo stesso tempo servono persone venute da fuori: avere sempre la stessa gente è altrettanto negativo. Serve il giusto mix. È sana un’apertura verso l’estero purché non sia esagerata. Sarebbe problematico se gli Uffizi avessero qualcuno che non ha mai lasciato Firenze e non è andato mai all’estero. L’Italia d’altronde è un Paese dalla cultura composita. Agli Uffizi il gruppo più numeroso di dipendenti è formato da napoletani, poi toscani, lombardi e siciliani: un positivo incontro di culture.
Infine come e quanto è necessario oggi il web per gestire un museo?
I social media sono fondamentali per comunicare con i visitatori, con un’utenza molto più vasta in paesi distanti e con livelli di interesse molto diversi. Ad esempio il nostro database offre ora agli esperti centinaia di migliaia di schede di storia dell’arte ed è stato integrato con un programma della Biblioteca Nazionale di Firenze così da trovare i libri relativi a determinate opere. Il web è fondamentale per la ricerca, per la comunicazione, per l’educazione e i social sono ancora più importanti per l’auto-educazione: su Instagram abbiamo oltre 327mila follower da tutto il pianeta, dallo storico dell’arte ai ragazzi delle medie fino agli anziani. L’importante non è utilizzare Instagram come piattaforma per farci pubblicità ma per dare informazioni, stimolare dibattiti, per spingere la gente a pensare.