Professore emerito di Storia dell’Europa orientale, Antonello Biagini, ha ricoperto negli ultimi dieci anni importanti ruoli all’interno dei vertici accademici dell’Università “La Sapienza”. Dallo scorso novembre è rettore dell’Unitelma Sapienza, uno degli undici atenei telematici italiani. Con lui abbiamo discusso delle imminenti elezioni europee, del significato che avranno ad Est e di alcuni nodi che riguardano il rapporto tra l’Italia e quell’area del Vecchio Continente.
Antonello Folco Biagini, rettore dell’Università Unitelma
Professor Biagini, stando alle previsioni di molti analisti, le prossime elezioni europee sembrano destinate a scardinare lo storico equilibrio da “grande coalizione” tra forze di centro-destra e forze di centro-sinistra. Popolari e socialisti molto probabilmente non avranno la maggioranza per governare l’aula. Quale sarà il contributo dell’Est Europa a questo scenario?
Stando agli andamenti politici interni di questi Paesi, indubbiamente contribuiranno con molti parlamentari euroscettici. Con il paradosso, peraltro, che sono i Paesi che hanno avuto maggiori benefici dall’Unione europea grazie ai fondi strutturali. Purtroppo la vecchia dirigenza di Bruxelles non ha capito i fenomeni nuovi degli ultimi anni, in primo luogo la grande crisi economica. Nel caso dell’Europa ex socialista non si è poi tenuto conto di un fattore fondamentale: che nell’area del vecchio Patto di Varsavia, l’internazionalismo socialista più che funzionare da collante, ha rafforzato il senso d’identità nazionale. Rivendicare la propria nazionalità era un modo per resistere all’omologazione sovietica. Le riforme degli anni novanta sono state drammatiche. Passare da un’economia pianificata a un’economia di mercato in paesi nei quali non esistevano quasi più i catasti, è stato un momento davvero duro. Alla fine gli aiuti europei sono stati anche importanti, ma più dal punto di vista economico che dell’evoluzione democratica.
I Paesi dell’Est, grazie ai fondi strutturali, hanno avuto grandi benefici dall’Unione ma, stando agli andamenti politici interni, si presenteranno con molti candidati euroscettici
La Germania, primo Paese manifatturiero in Europa, ha dimostrato negli ultimi anni di essere un forte polo attrattivo per parecchi paesi al di là dell’ex cortina di ferro. L’Italia, pur essendo il secondo Paese manifatturiero e la terza economia europea, sembra davvero lontana da questo attivismo. Che dovrebbe fare la classe dirigente italiana – economica e politica – per dare una svolta al rapporto con quella parte d’Europa?
La presenza tedesca ha lontane radici storiche, pensi solo ai mercanti tedeschi nel Baltico durante il medioevo. Da lì in poi l’espansionismo verso est è stata una costante. L’Italia avrebbe in zona una sorta di primato morale. Dopo la caduta del muro, la cultura italiana era attesa. Ricordo sempre il primo governo ungherese post comunista, quello di József Antall, un uomo che rimaneva sempre stupito per la mancanza di iniziativa italiana. C’era da ristrutturare la telefonia ungherese o fare altre importanti opere pubbliche e non si spiegava perché arrivassero sempre prima i tedeschi. Gli italiani sono arrivati solo quando è scattata la delocalizzazione, quando si sono accorti che produrre da quelle parti costava meno. Ma sono mancati per il resto: banche e grandi infrastrutture industriali. Questo pur avendo le competenze e godendo di un grande consenso morale.
Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria, Romania, Croazia – pur essendo parte dell’Ue – non hanno adottato l’euro. Tra questi Paesi, solo la Bulgaria sembra lontanamente intenzionata a farlo. Questo stare alla finestra significa che si preferiscono i potenziali vantaggi del possibile adeguamento del cambio a un virtuosismo monetario che però è una gabbia?
Sicuramente significa ciò che ha detto. D’altra parte c’è secondo me una grande carenza dell’Ue. Nel momento in cui si aderisce a una struttura istituzionale, dovrebbe automaticamente avviarsi un percorso entro il quale si aderisce anche alla moneta. L’Europa da una parte lascia in un limbo indefinito i Paesi che vogliono tenersi la sovranità monetaria, dall’altra non ha nemmeno pensato a come fare nel caso in cui qualcuno voglia tornare indietro (prenda il caso spinoso della Brexit).
L’Europa da una parte lascia in un limbo indefinito i Paesi che vogliono tenersi la sovranità monetaria, dall’altra non ha pensato a come fare nel caso in cui qualcuno voglia tornare indietro
Tra i diversi stati appartenenti a quella che un tempo veniva definita “Europa dell’Est”, quale le sembra in grado di guardare con più ottimismo al prossimo futuro? Parlo in termini di prospettive economiche e stabilità politica….
Dal punto di vista economico direi sicuramente la Polonia, un Paese che ha ottenuto risultati eccezionali. Dal punto di vista politico è interessante la recente vittoria di Zuzana Caputova in Slovacchia, primo Presidente della Repubblica donna. È un’avvocatessa che si batte contro la corruzione e per l’ambientalismo, potrebbe essere un argine alle forze di estrema destra.
Lei si è occupato molto di Ungheria contemporanea, della quale ha anche scritto una storia. Negli ultimi anni il nome di Orbán ricorre spesso sui giornali italiani. Che cosa in generale l’opinione pubblica del nostro Paese non capisce di Orbán? Che lettura dà di questo personaggio?
L’Ungheria è un Paese a forte tradizione libertaria, con un popolo che ha avuto tanta forza durante la sua storia. Fa un po’ impressione vederlo ridotto ad accettare limitazioni delle libertà simili a quelle che aveva durante il periodo comunista. Noi dobbiamo considerare che Orbán nasce liberal e si trasforma nel corso del tempo. Per due motivi: per reazione all’Europa e a quello che vorrebbe imporgli e per rinverdire un passato glorioso. Attenzione però, perché Orbán, dall’altro lato, governa in un certo modo: le città sono pulite e funzionano, il benessere interno è relativamente cresciuto. Insomma, sono cose che danno consenso.
A Est, una delle realtà economicamente più dinamiche degli ultimi anni è l’Albania, Paese con il quale l’Italia ha un rapporto storicamente importante. Che ne pensa delle forti tensioni tra governo e opposizione? Come andrà a finire il braccio di ferro tra la piazza e il governo di Edi Rama?
L’Albania è un Paese che sicuramente sta crescendo economicamente. L’attuale forma di opposizione non ha il consenso di tutti. Rama come sindaco di Tirana e come primo ministro ha fatto moltissime cose. Dobbiamo tener presente che in quel contesto – dove la parte interna del Paese è davvero indietro – la città conta parecchio. Parte di questa opposizione negli anni prima di Rama non ha dato buona prova di sé.