Desidero ringraziare per l’invito il Presidente Cuzzilla e i vertici di Federmanager Academy per il lavoro svolto in partnership con noi del MIT Technology Review.
La rivoluzione industriale in atto si presenta in modo assolutamente diverso dalle precedenti; la rapidità con cui le macchine si affermano sui posti di lavoro e nelle catene di produzione è molto superiore a quella che contraddistinse i tempi dell’elettrificazione. Chi perde il posto di lavoro oggi non ha il tempo per ritrovarlo nello stesso sistema.
Questo genera un enorme scompiglio, specialmente laddove, come negli USA, la tecnologia è il vero grande “dio” della società. Si spiega pertanto il perché sia subito nato un movimento di pensiero che afferma la necessità di reagire subito, pena la perdita di competitività. Qualcuno ha dunque sostenuto che la nuova produttività significa far le stesse cose con meno posti di lavoro. Ma è davvero così?
Non esiste soltanto l’esigenza di sostituire il lavoro con qualcosa che realizzi il prodotto più velocemente ma esiste la possibilità di sostituire il lavoro con qualcosa che lo realizza meglio. Ed è in questa seconda ipotesi che si prevede la permanenza in ambito aziendale di persone e competenze che solo apparentemente sembrano essere superate.
Le interviste realizzate nell’ambito dell’indagine che MIT Technology Review e Federmanager Academy hanno promosso, mostrano una visione del mondo diversa rispetto a quanti ritengono che ci troviamo di fronte a un pericolo che irrompe con la forza di uno tsunami. Sul Financial Times di sabato scorso si è scatenato un dibattito sull’intelligenza artificiale dei robot.
Capiamo bene che una cosa è sostituire una segretaria con un software in grado di battere a macchina in autonomia, altro discorso è, invece, immettere in un sistema una macchina che pensa al posto di tutti noi: quest’ultima opzione comporta anche dei rischi seri. In tale contesto, la formazione merita grande attenzione, e deve aspirare ad essere la più alta e qualificata possibile.
Negli USA si dice che, se non si posseggono le competenze “STEM” (science, technology, engineering, mathematics), non si ha futuro come manager. Non c’è dubbio che la sfida è riuscire a confrontarsi con le macchine che arriveranno.
La visione può risultare terrificante almeno che non si vada indietro di 200 anni, quando non esisteva il lavoro dipendente, c’era il principe da un lato e, dall’altro, i servi della gleba. Negli USA la disoccupazione è molto bassa (2,5%3%) ma la distanza tra ricchi e poveri è diventata gigantesca.
Sono dell’idea che bisogna portare la tassa sull’incremento di capitale almeno al livello della tassa sul lavoro. Non è possibile che il mondo proceda continuando a separare sempre di più chi i soldi li ottiene dal capitale da chi i soldi li guadagna con il lavoro. Questa è la vera misura da prendere, per non essere travolti dalle macchine.
Iniziamo a occuparci anche dei paesi poveri, a rivedere il debito e a renderli in grado di comperare. Altrimenti finiremo per rendere i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.