Una fiducia che resiste

La Giornata della nostra Assemblea raccontata da Giuseppe De Lucia, Consigliere Nazionale Ferpi – Federazione Relazioni Pubbliche Italiana

Quando entro nella sala dell’assemblea Federmanager, l’atmosfera è densa di attesa e di orgoglio. Non è solo una ricorrenza, ma un momento di identità collettiva: ottant’anni di storia che raccontano l’Italia del lavoro, dell’impresa e del progresso. Sullo sfondo campeggia il titolo dell’evento, “Orizzonti industriali – l’Italia che produce il futuro”. Non suona come uno slogan, ma come una promessa da mantenere.

Il Presidente prende la parola e la sala si fa silenziosa. La sua voce è ferma, appassionata, e fin dalle prime battute si capisce che non sarà un discorso di circostanza. È un invito alla responsabilità, una riflessione profonda sul ruolo che la dirigenza italiana deve continuare a svolgere nel Paese. Ripercorre le origini di Federmanager, ricordando come la Federazione abbia accompagnato la rinascita industriale dell’Italia, capace di trasformare limiti in opportunità, crisi in innovazione, tradizione in modernità.

Poi lo sguardo si sposta sul presente. L’Italia resta la seconda manifattura d’Europa e la quarta potenza esportatrice al mondo: un traguardo che testimonia la forza del sistema produttivo, ma che non consente di fermarsi. Un richiamo alla necessità di continuare a costruire valore autentico, fondato su competenza e visione, per garantire al Paese un ruolo da protagonista nei grandi cambiamenti globali.

Mentre ascolto, mi rendo conto di quanto quelle parole racchiudano la sfida del nostro tempo: saper coniugare orgoglio e futuro, senza nostalgia né rassegnazione.

La sfida del nostro tempo: saper coniugare orgoglio e futuro, senza nostalgia né rassegnazione

Il discorso prosegue delineando la prospettiva di una nuova politica industriale, capace di guardare ai prossimi dieci anni. Si parla di far crescere ventimila nuove imprese managerializzate, di investire in formazione e innovazione, di unire produttività, sostenibilità e capitale umano in una visione comune. Ogni passaggio sembra un invito a credere nella forza delle competenze, nella dignità del lavoro ben fatto, nel valore delle persone che fanno la differenza.

Arriva poi il momento di affrontare i temi dell’energia e della transizione verde: il futuro passa attraverso scelte coraggiose, dalla ricerca sul nucleare all’uso dell’idrogeno, fino alla costruzione di infrastrutture digitali e sostenibili. Ma il passaggio più intenso è quello dedicato all’umanesimo industriale. L’idea che la competenza tecnica debba dialogare con la cultura, con l’arte, con la visione umana del progresso. Un richiamo a un modello di sviluppo che non perda di vista la persona.

In sala gli applausi si alzano lunghi e convinti: è come se quella riflessione avesse toccato un bisogno profondo, quello di ritrovare un senso umano nella velocità del cambiamento.

Poi l’attenzione si sposta sui grandi nodi sociali: la crisi demografica, la parità di genere, la meritocrazia. Il presidente invita a costruire un Paese capace di premiare chi crea valore, chi investe, chi lavora con responsabilità. Sottolinea la necessità di una fiscalità più equa e di un riconoscimento pieno del ruolo dei manager come motore della crescita.

Infine, viene ricordato il coraggio dei dirigenti del dopoguerra, di coloro che, nel 1945, salvarono le fabbriche, le competenze, la dignità stessa del lavoro italiano. Erano manager, ma anche cittadini visionari che credettero nel futuro quando il futuro sembrava impossibile. In sala cala un silenzio denso di gratitudine. Ottant’anni dopo, quello spirito sembra ancora respirare tra i volti presenti, come una promessa che attraversa le generazioni.

Quando il discorso si conclude, l’applauso ha qualcosa di diverso: non è solo un gesto di consenso, ma il segno di un passaggio di testimone. Questa assemblea non è soltanto la celebrazione di una storia gloriosa, ma la conferma di una fiducia che resiste. Una fiducia nel lavoro, nella competenza, nell’etica come strumenti di progresso e di coesione.

Uscendo dalla sala, penso che l’Italia industriale raccontata oggi non sia solo quella dei numeri e delle statistiche. È fatta di persone che ogni giorno, con impegno, provano a produrre futuro.

 

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