L’intelligenza artificiale per le imprese sempre più spesso non è un’opzione ma una necessità. A dirlo sono i dati, anche in Italia, dove il mercato cresce a doppia cifra. Nonostante ciò, però, rispetto ad altri grandi Paesi europei siamo indietro, mostrano ricerche dell’Osservatorio dedicato al Politecnico di Milano. Per non parlare di Cina e Stati Uniti, qui gli investimenti negli ultimi anni sono stati miliardari. Un ritardo che rischiamo di pagare in termini di minore competitività, produttività più bassa ed effetti a cascata sulla nostra economia. Anche perché diversi studi mostrano come l’intelligenza artificiale possa trainare la crescita.
Sempre a guardare dati, e storie, è chiaro che per molte imprese l’epoca della sperimentazione è finita, l’intelligenza artificiale è ormai parte dei processi produttivi. Il suo mercato, in Italia, ha raggiunto un valore di 1 miliardo e duecento milioni nel 2024, certifica ancora l’Osservatorio AI del Politecnico di Milano, una crescita del 58% rispetto all’anno precedente. «Noi stimiamo questa cifra chiedendo alle aziende italiane che offrono soluzioni e servizi in questo ambito quale sia il loro fatturato legato all’intelligenza artificiale», spiega Irene Di Deo, ricercatrice senior presso l’Osservatorio. Un perimetro stringente, che non comprende il fatturato dell’indotto, dunque fotografa con ancora più precisione l’evoluzione del settore.
L’uso dell’intelligenza artificiale sul lavoro nel nostro Paese è aumentato dal 12 al 46% tra il 2024 e il 2025, lo dice l’ultimo barometro di EY sul tema. Una crescita confermata anche dal rapporto “Sbloccare il potenziale dell’IA in Italia” di Amazon Web Services, secondo cui una nuova azienda adotta l’IA ogni 75 secondi.
Nel nostro Paese, l’uso dell’intelligenza artificiale sul lavoro è aumentato dal 12 al 46% tra il 2024 e il 2025, come riporta l’ultimo barometro di EY sul tema
Tecnologie ormai familiari per molti italiani, nota anche la Banca d’Italia in un paper pubblicato ad aprile scorso: l’IA è adottata ampiamente nel nostro Paese, secondo sondaggi 1/4 del campione l’ha usata almeno una volta durante l’anno e il 10% la usa ogni settimana o anche più. Non solo: per il 25%, questa tecnologia ha le potenzialità per creare nuovi posti di lavoro.
La speranza delle imprese è che porti a un aumento della produttività. Su questo, però, le stime degli economisti divergono, anche perché i fattori in gioco sono molti. In primo luogo, il tasso di adozione da parte delle aziende. E poi il tipo di compiti per cui l’intelligenza artificiale viene utilizzata. Restando nell’ambito microeconomico, sempre stando al rapporto di Amazon già citato, il 93% delle aziende che hanno adottato l’IA riportano un aumento dei ricavi, che in media è del 27%. Secondo un working paper pubblicato a giugno dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), prove di effetti positivi sulla produttività ci sono ma riguardano soprattutto specifici settori, mentre è meno chiaro quanto questa spinta si trasmetta all’economia nel suo insieme.
Più cauta un’analisi del Massachusetts Institute of Technology, secondo cui nel 95% dei casi i progetti di intelligenza artificiale non portano i risultati sperati. Questo -spiega il recente rapporto “The GenAI Divide: State of AI in Business 2025” – anche per la difficoltà a integrare nel modo migliore queste novità nel flusso di lavoro aziendale. Un problema che si potrebbe risolvere con la giusta formazione.
Il tema riguarda in particolare le imprese più piccole, ancora indietro, spiegano dall’Osservatorio del Polimi. «Tra le grandi imprese il tasso di adozione è al 59%, leggermente inferiore rispetto ad altri Stati europei, anche se ci sono differenze rilevanti a seconda del settore», spiega sempre Di Deo, che chiarisce: «Nell’ambito bancario assicurativo sono molte di più le aziende che hanno team strutturati e progetti a regime, per esempio chatbot per il servizio clienti, sistemi di identificazione delle frodi, elaborazione intelligente per controllo e verifica di documenti». Non solo economia immateriale, però. Anche grandi imprese con produzioni più tangibili sono ormai entrate in questo mercato: «Ci sono applicazioni, per esempio, per prevedere la domanda -spiega Di Deo- o anche casi di eccellenza nel settore manifatturiero dove si implementa la manutenzione predittiva o sistemi di controllo qualità basati sull’acquisizione di immagini che vengono poi analizzate da un algoritmo di computer vision». In pratica: si addestra il computer a riconoscere eventuali difetti di un prodotto.
Diversa la situazione per piccole e medie imprese, rispettivamente solo il 7 e il 15% di queste hanno avviato progetti legati all’intelligenza artificiale, riporta l’Osservatorio del Politecnico di Milano. In aziende di queste dimensioni è difficile trovare competenze, e risorse, necessarie a creare piattaforme e applicazioni proprie. «Da un lato per aziende di dimensioni minori è difficile avere la mole di dati necessaria ad addestrare un proprio algoritmo. Dall’altro – chiarisce Di Deo – l’intelligenza artificiale di tipo generativo può essere di supporto per velocizzare i rapporti con i clienti o il reperimento di informazioni. Quello che notiamo è che anche in imprese che non adottano l’intelligenza artificiale, i singoli dipendenti, privatamente, lo fanno».
Una tendenza confermata dal Massachusetts institute of technology: appena il 40% delle imprese paga un abbonamento a un servizio di intelligenza artificiale, ma il 90% dei lavoratori di quelle stesse imprese fa uso di strumenti di IA personali per svolgere compiti lavorativi. Questo, si legge nel già citato rapporto del Mit, dà vita a un’economia ombra, eppure queste pratiche «spesso portano più ritorni pratici rispetto ai progetti formali, e l’intelligenza artificiale sta già trasformando il lavoro, anche se non attraverso i canali artificiali».
Da non sottovalutare, però, anche i rischi che questo può comportare per le aziende «soprattutto dal punto di vista di quali dati vengono inseriti, perché potrebbero essere caricati senza seguire i protocolli di sicurezza dell’azienda», mette in guardia Di Deo.
In ogni caso, in Italia gli strumenti di intelligenza artificiale già pronti all’uso, di cui basta acquistare una licenza, si stanno diffondendo, e secondo il rapporto del Politecnico di Milano «il 53% delle grandi aziende ha acquistato licenze di strumenti di GenAI (principalmente ChatGPT o Microsoft Copilot), più di Francia, Germania e Regno Unito.» E in 4 casi su 10 si è riscontrato un aumento di produttività. Anche qui, però, le Pmi restano indietro.
Dato Polimi: in Italia il 53% delle grandi aziende ha acquistato licenze di strumenti di GenAI, più di Francia, Germania e Regno Unito
Aiutare le piccole realtà produttive ad adottare l’intelligenza artificiale è uno degli obiettivi della Strategia per il periodo 2024-2026 elaborata dal Governo italiano con un comitato di esperti. Il documento prevede infatti la creazione di facilitatori sul territorio che assisteranno le imprese e promuoveranno la formazione del personale. Un’iniziativa che si aggiunge ad altre specificamente pensate per la formazione e che dovrebbero – è l’auspicio dell’Esecutivo – permettere al Paese di fare passi avanti sul tema.
È proprio qui che si gioca il futuro della nostra economia digitale, e non solo: colmare il divario tra grandi e piccole imprese, accelerare la formazione, creare un contesto regolatorio favorevole.
