Lavoro tutelato, società sostenibile

Competenze, diritti, innovazione. Progetto Manager incontra Enrico Giovannini, Direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile – ASviS

Enrico Giovannini, Direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile – ASviS

Professore, salute e sicurezza sul lavoro sono fondamentali per poter parlare di uno sviluppo davvero sostenibile, soprattutto sotto il profilo sociale. Come si inserisce questo tema nel quadro del Goal 8 dell’Agenda Onu 2030?

La salute e la sicurezza sul lavoro rappresentano una componente imprescindibile della visione di sviluppo sostenibile promossa dall’Agenda 2030. Non a caso, l’Obiettivo 8 si riferisce alla promozione del lavoro dignitoso e della crescita economica, e la tutela dei diritti dei lavoratori e la promozione di un ambiente sicuro e protetto per tutte e tutti (Target 8.8) è uno dei pilastri su cui costruire una società più giusta. Purtroppo, siamo lontani dall’attuazione dell’Agenda 2030. Nel Rapporto annuale dell’ASviS sottolineiamo come in Italia, nonostante il tasso di occupazione per le persone tra i 20 e i 64 anni abbia raggiunto il 66,3% nel 2023, permangano criticità strutturali legate alla qualità del lavoro. Ad esempio, la persistenza del lavoro irregolare, della precarietà e delle disuguaglianze, che colpiscono soprattutto donne e giovani, insieme ai tragici numeri degli infortuni mortali sul lavoro (oltre mille nel 2023), evidenziano quanto sia urgente intervenire per rafforzare la cultura della sicurezza e migliorare concretamente le condizioni lavorative nel nostro Paese.

Cosa serve oggi all’Italia per un “cambio di passo”, in termini di politiche pubbliche e per affermare una cultura della salute e della sicurezza?

Per imprimere un vero “cambio di passo” servono misure coraggiose, coerenti e coordinate a livello nazionale e territoriale, in grado di superare la frammentazione delle politiche. Occorre rafforzare il ruolo del diritto del lavoro e della contrattazione collettiva, trasformandoli in leve efficaci per accompagnare la transizione ecologica e digitale in un’ottica di giustizia sociale. Nel Quaderno ASviS dedicato a lavoro e sicurezza, abbiamo proposto un nuovo patto tra Governo e parti sociali fondato sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Una proposta concreta per orientare le scelte politiche e industriali in funzione di un’economia che sia inclusiva e rispettosa della dignità del lavoro. Occorre, infine, incentivare le imprese ad adottare le buone pratiche già esistenti e investire in formazione e sicurezza.

A suo avviso, quanto è importante che, all’interno delle organizzazioni, a guidare il cambiamento sia una managerialità dotata di competenze specifiche e aggiornate?

È decisivo. La complessità delle sfide che abbiamo di fronte – dal cambiamento climatico all’innovazione tecnologica, dalla crisi demografica alla transizione energetica – richiede una visione sistemica e lungimirante e una leadership in grado di cogliere le opportunità derivanti dallo sviluppo sostenibile. Nel Rapporto ASviS “Scenari per l’Italia al 2035 e al 2050. Il falso dilemma tra competitività e sostenibilità”, realizzato in collaborazione con Oxford Economics, mostriamo come un’accelerazione della transizione ecologica accompagnata da forti investimenti in innovazione porterebbe benefici a molti comparti economici. Rispetto allo scenario di base, in tale caso il valore aggiunto della manifattura, nonostante l’effetto leggermente negativo del puro processo di decarbonizzazione (al 2050), resterebbe invariato nel 2035, ma crescerebbe del 9,3% nel 2050; quello dei servizi aumenterebbe dello 0,5% nel 2035 e del 5,9% nel 2050; quello delle costruzioni del 6,9% e del 18,2%; quello dell’agricoltura resterebbe stabile nel 2035, ma crescerebbe del 7,1% nel 2050; quello delle utilities del 13,9% nel 2035 e del 52,6% nel 2050. Al contrario, rinviare anche solo di cinque anni la transizione produce effetti negativi nel 2035 e solo leggermente positivi nel 2050. È evidente, dunque, che investire nella sostenibilità, come dimostrano anche i recenti dati dell’Istat, non solo produce effetti positivi anche nel breve termine, ma sia un’opportunità strategica: lo devono comprendere prima di tutto le classi dirigenti, a partire dal mondo manageriale.

L’innovazione tecnologica sta rivoluzionando il mondo del lavoro. Quali rischi devono essere analizzati e fronteggiati in questo nuovo scenario?

L’innovazione tecnologica rappresenta una leva straordinaria per lo sviluppo sostenibile, ma rischia di amplificare le disuguaglianze se non accompagnata da politiche adeguate. L’assenza di competenze digitali può tradursi in nuove forme di marginalizzazione e precarietà. I dati relativi all’Italia sono allarmanti: siamo ultimi in Europa per numero di laureati nel settore Information and communications technology (ICT) e al quartultimo posto per percentuale di persone che possiedono competenze digitali di base (45,6%). Occorre dunque ripensare profondamente il sistema educativo e garantire ai lavoratori l’accesso alla formazione continua per poter aggiornare le proprie competenze. Parallelamente, va aumentata la cultura digitale anche nel top e nel middle management delle imprese e delle pubbliche amministrazioni.

L’assenza di competenze digitali può tradursi in nuove forme di marginalizzazione e precarietà

Mancano solo 5 anni al traguardo del 2030, fissato dall’Onu. Per dovere di sintesi giornalistica, le chiedo tre ambiti in cui l’Italia ha fatto bene e tre in cui deve notevolmente migliorare.

Il Rapporto ASviS 2024 evidenzia un quadro preoccupante. Nonostante gli impegni presi a livello internazionale ed europeo, il nostro Paese sta affrontando notevoli difficoltà nel percorrere il cammino verso l’Agenda 2030. I dati più allarmanti riguardano la povertà (Goal 1), con 5,7 milioni di persone che vivono in povertà assoluta. La disuguaglianza economica ha poi raggiunto livelli critici (Goal 10), con il 5% delle famiglie più ricche che detiene metà della ricchezza nazionale, mentre la metà più povera possiede solo l’8%. L’Italia è al centro dell’hotspot climatico del Mediterraneo (Goal 13) e si riscalda a quasi il doppio della media globale con gravi conseguenze: nel 2022 oltre 18mila persone sono morte per cause riconducibili alle ondate di calore estive (un terzo delle circa 60mila avvenute nell’Ue).

Segnali positivi si stanno registrando nella riduzione della quota di Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano, scesa dal 22,1% nel 2019 al 16,1% nel 2023 (Goal 8). Continua ad aumentare il tasso di riciclaggio dei rifiuti urbani (Goal 12), che passa dal 44,3% nel 2015 al 51,9% nel 2021, il che ci dovrebbe consentire di raggiungere l’obiettivo europeo del 60% entro il 2030. Migliora anche la copertura della rete fissa di accesso ultraveloce a Internet (Goal 9), che aumenta del 35,7% tra il 2018 e il 2022, in linea con l’obiettivo di raggiungere una copertura totale entro il 2030.

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