La Commissione europea è in grado di rispondere alle moderne sfide industriali?
A fine maggio la Commissione europea ha adottato quattro nuovi atti e una comunicazione relativi al Net-Zero industry act (Nzia), chiarendo quali progetti manifatturieri possano beneficiare di trattamenti autorizzativi semplificati e partecipare, a partire dal 2026, a aste con criteri diversi da quelli di prezzo. «Tali criteri includono la condotta aziendale responsabile, la sicurezza informatica e il contributo alla sostenibilità e alla resilienza». Nella comunicazione, la Commissione ha fornito informazioni sulla provenienza delle tecnologie a zero emissioni, evidenziando le dipendenze da Paesi terzi.
Il Nzia si concentra sull’aumento della capacità produttiva dell’Ue per le tecnologie a zero emissioni, con l’obiettivo di raggiungere il 40% del fabbisogno annuale entro il 2030. Il Clean industrial deal (Cid) è una seconda misura, che completa il Nzia, promuovendo catene di approvvigionamento europee per i settori ad alta intensità energetica e per le clean tech. Il Cid è attualmente in discussione al Parlamento europeo.
Diversi esperti hanno però criticato sia la Commissione europea che, in modo più marginale, il Parlamento europeo. The European House Ambrosetti (Teha) Group, per esempio, spiega le difficoltà di diverse industrie europee.
«Un primo elemento di squilibrio riguarda il costo dell’energia. Ad esempio, nel 2025 il prezzo del gas è in media di circa 41 €/MWh in Italia e in Europa, mentre negli Usa si attesta a 12,65 €/MWh, quasi un terzo del costo europeo», ha detto Alessandro Viviani, Associate partner e Responsabile Green tech hub di Teha Group. In Italia la questione è particolarmente rilevante, visto che il mercato elettrico all’ingrosso locale è quello più costoso in Europa, anche perché fortemente dipendente dal gas fossile.
Nel 2025 il prezzo del gas è in media di circa 41 €/MWh in Italia e in Europa, mentre negli Usa si attesta a 12,65 €/MWh, quasi un terzo del costo europeo
«Un secondo fattore critico» spiega Viviani «è il disallineamento temporale tra l’aumento dei costi derivanti dal sistema Ets europeo e la capacità delle imprese di trasformare i propri processi industriali».
«Il costo dell’Ets in Europa è almeno cinque volte superiore rispetto ad altri Paesi, come la Cina, e si prevede che possa assorbire fino al 33% del valore aggiunto delle industrie hard-to-abate entro il 2030, rispetto al 16% del 2024», ha detto Viviani.
Diversi settori
Viviani dice che la capacità di utilizzo degli impianti in Europa nel settore dell’acciaio si attesta oggi intorno al 65%, mentre è necessario un utilizzo dell’85% per mantenere la competitività. Considerando l’aumento delle importazioni di acciaio da Paesi terzi, non sorprende che ThyssenKrupp abbia previsto 11 mila esuberi in Germania nel 2024, che ArcelorMittal abbia rinviato investimenti di decarbonizzazione in Europa e che la ceca Liberty Ostrava abbia dichiarato bancarotta.
Il settore chimico ha subito una crisi strutturale e irreversibile, dice Teha, ricordando la riduzione del 31% della produttività in Italia dal 2018. La quota di mercato globale europea è scesa dal 27% al 14% negli ultimi due decenni. Viviani spiega che esistono comunque opportunità vista la crescente domanda di prodotti chimici sostenibili, con un tasso di crescita annuo composto previsto del 15% fino al 2030.
Il comparto della raffinazione si trova, anche questo, in una fase di margini operativi bassi. In Italia, Sasol mantiene lo stabilimento di Augusta a capacità minima, mentre Versalis ha annunciato riduzioni produttive con focus sulla riconversione verso attività più sostenibili.
Secondo Viviani, il settore del cemento è ugualmente esposto: l’Ets provoca «un raddoppio dei costi di produzione e una conseguente apertura alle importazioni extra-Ue» (+259% negli ultimi dieci anni in Italia), mentre i cementi sostenibili non vengono premiati né supportati.
Strumenti possibili
Il Carbon border adjustment mechanism (Cbam) è uno strumento potenzialmente utile, poiché mira a imporre un prezzo sul carbonio delle merci ad alta intensità energetica importate, incentivando le imprese europee «a innovare e adottare tecnologie più pulite».
Al momento, però, il Cbam presenta alcune “scappatoie” che potrebbero permettere ad alcuni produttori extra-Ue di evitare il pagamento dei costi del carbonio, spostando le emissioni altrove anziché ridurle realmente, spiega Teha.
«Senza correggere tali criticità, il meccanismo potrebbe non solo fallire nel proteggere l’industria europea, ma anche accelerare fenomeni di deindustrializzazione, con il rischio di favorire la delocalizzazione produttiva in Paesi terzi meno regolamentati».
Secondo Viviani, sarà poi necessario mantenere l’allocazione gratuita delle quote Ets per le esportazioni europee e varare anche misure per diminuire il prezzo del gas naturale (tax credit tra 15 e 20 €/MWh) per le industrie “Hard to abate”.
L’Associate partner di Teha sottolinea anche l’importanza degli investimenti in ricerca e sviluppo. Un primo segmento è quello dell’elettronica di potenza: Teha stima che, tra il 2026 e il 2030, gli investimenti globali in queste tecnologie oscilleranno tra i 62 e i 93 miliardi di euro all’anno, pari al 15-20% del totale degli investimenti per la transizione energetica.
Teha ricorda che gli investimenti cinesi nelle industrie che facilitano e permettono la transizione energetica sono stati 3,2 volte superiori rispetto a quelli dell’Unione europea, tramutandosi in un vantaggio competitivo. Nel mercato degli inverter fotovoltaici la Cina domina con 9 aziende tra le prime 10 al mondo, detenendo, riporta Viviani, il 76% del commercio globale.
Gli investimenti cinesi nelle industrie che facilitano e permettono la transizione energetica sono stati 3,2 volte superiori rispetto a quelli dell’Ue, tramutandosi in un vantaggio competitivo. Nel mercato degli inverter fotovoltaici la Cina detiene il 76% del commercio globale
«Le difficoltà strutturali emerse finora non solo evidenziano la fragilità delle misure adottate dalla Commissione von der Leyen, ma sottolineano con urgenza la necessità di un loro potenziamento sostanziale, in grado di riflettere la complessità competitiva che le imprese europee devono affrontare nei mercati globali», ha detto l’Associate partner di Teha.
Altre critiche
Le associazioni ambientaliste sottolineano intanto che la decarbonizzazione ha una sua funzione strategica e geopolitica.
Gli ultimi 100 giorni si sono rivelati deludenti. La Commissione ha presentato una serie frammentata di iniziative incentrate sulla deregolamentazione, sui ritardi e sulle scappatoie per indebolire l’obiettivo climatico per il 2040 e il percorso verso l’attuazione del Green deal europeo», ha scritto Climate action network (Can) Europe. L’ente con sede a Bruxelles ha suggerito che l’Ue potrebbe così trovarsi ancora dipendente da combustibili fossili (importati).
Can sostiene poi che la narrazione della Commissione sminuisce la situazione attuale, «mascherando l’erosione delle tutele sociali e ambientali con una maggiore efficienza», mentre considera tecnologie non adatte alla transizione energetica, sia in termini di costi che di tempi.
La Commissione europea non ha risposto alle domande poste via mail sulle regole europee per facilitare l’innovazione e lo sviluppo industriale, o sulla situazione geopolitica, non dando la propria prospettiva sulle critiche portate avanti da Teha e Can Europe. Considerando che ha avuto più di 12 giorni, la mancata risposta è forse già una risposta. La domanda quindi rimane. L’Esecutivo europeo è in grado di anticipare trend e farsi trovare pronto a ulteriori scossoni?
