La notte di Natale del 1299 una folla assediò il “patriarchio”, il palazzo papale di San Giovanni in Laterano gridando «indulgenza, indulgenza!» Nel 1291, con la caduta di Acri, l’illusione del regno latino in Terra santa era svanita e i pochi superstiti dei vari ordini militari, tra cui templari e ospitalieri erano a Cipro. Privi di tutela, i pellegrinaggi cristiani in Terra santa cessarono. Fino ad allora, l’indulgenza plenaria che i romani reclamavano da Bonifacio VIII era prevista soltanto per coloro che «confessati e contriti, siano assolti da tutti i loro peccati, da colpa e da pena, in cielo e in terra, dal dì del battesimo infino al dì e all’ora ch’entrerà a Gerusalemme nella Chiesa del Santo Sepolcro», possibilmente dopo aver guerreggiato, saccheggiato e occupato terre altrui come crociato.
Questa poco pia pratica non era piaciuta affatto ad un pellegrino di nome Francesco di Assisi che nel luglio del 1219, su una nave che trasportava i soldati per la quinta crociata, era sbarcato a San Giovanni d’Acri. Chiese infatti che l’indulgenza si potesse ottenere entrando nella chiesetta della Porziuncola come poi fu ogni anno, dal mattino del 1° agosto alla sera del 2. L’idea fu approvata da Papa Onorio III il quale la concesse rifacendosi ad un precedente, secondo il diritto canonico medievale: Papa Callisto II, nel 1122, aveva permesso al vescovo di Santiago di Compostela di celebrare il Giubileo in quel Santuario ogni volta che la festa dell’Apostolo Giacomo fosse caduta di domenica. Nel 1220 divenne luogo giubilare anche la cattedrale di Canterbury e nel 1294 Celestino V istituì la “perdonanza” di Collemaggio a L’Aquila per i giorni 28 e 29 agosto di ogni anno.
Nel 1220 divenne luogo giubilare anche la cattedrale di Canterbury e nel 1294 Celestino V istituì la “perdonanza” di Collemaggio a L’Aquila per i giorni 28 e 29 agosto di ogni anno
A metà Ottocento, Flaubert scriveva con assoluta certezza che «Dio è nei dettagli». Sembra così anche per il Pontefice visto che la bolla “Spes non confundit” promulgata il 9 maggio 2024, con la quale ha indetto l’Anno Santo del 2025, è disseminata di dettagli molto interessanti. Richiamandosi ai precedenti storici, scrive Papa Francesco «È bene che tale modalità “diffusa” di celebrazioni giubilari continui, così che la forza del perdono di Dio sostenga e accompagni il cammino delle comunità e delle persone». Nel 2015 Papa Francesco diede inizio all’Anno santo straordinario dedicato alla misericordia aprendo la porta della cattedrale di Bangui, nella Repubblica Centro Africana e insieme al vescovo e al muftì della capitale africana attraversò in pellegrinaggio il quartiere chiamato “chilometro 5”, un pericoloso e degradato angolo della città abitato da islamisti indigeni e stranieri che i cristiani non osavano attraversare. Inoltre, la “Misericordiae Vultus”, la bolla di indizione di quell’anno trasformava in “porte della misericordia” cattedrali e santuari: circa 20 mila chiese dedicate all’ottenimento dell’indulgenza, «quasi un sistema solare fatto di migliaia di stelle luminose sparse sulla terra», commentò liricamente un sito istituzionale cattolico, ignorando che la “convocazione” attorno alla chiesa principale della diocesi era una scelta ecclesiale e sociale, persino politica.
Il Grande Giubileo dell’anno 2000 aveva indotto a credere che la Chiesa dovesse adattare i propri linguaggi a causa della convergenza tecnologica tra televisione, telecomunicazioni ed informatica, dunque aver iniziato l’Snno santo 2015-2016 in un Paese in guerra, mal connesso e aprendo una porta fatta di poveri listelli di legno aveva un forte significato, non esclusivamente simbolico. Una esperienza che, come ulteriore dettaglio, si fa presente anche nel documento papale del 2025 e consiste nel valorizzare quanto esiste di proprio e di particolare nei luoghi e nelle culture dei cattolici di oggi, che se riferiti alla ritualità romana rischiano di apparire “poveri” oppure “altri”, e allo stesso tempo di cogliere le opportunità offerte dai processi di globalizzazione per farli conoscere, immetterli nella “comunione” della Chiesa universale. La notte di Natale del 1999 sembrava che il mondo intero fosse giunto a Roma. Il rito di apertura prevedeva corni regali africani, danze asiatiche, musica giapponese, salmi cantati con melopee gregoriane dell’anno mille, polifonia rinascimentale e contemporanea, paramenti frutto di ricerche storiche e iconografiche. Quasi a stabilire, da Roma verso le periferie ecclesiali, modelli, riti e simboli per una Chiesa del terzo millennio.
La notte del Natale scorso, 2024 il rito d’apertura è stato del tutto “irrituale”, un responsorio di tre brevi strofe, la porta aperta in silenzio, la basilica adornata come di consueto. E il 29 dicembre quando sono state aperte le porte delle cattedrali, gesti, luci, processioni, canti popolari hanno arricchito le cerimonie rivelando la semplicità che accompagna la religiosità dei nostri e degli altrui territori. Non più “tutti verso Roma”, ma “Roma verso tutti”. Lo dice il decreto della Penitenzeria apostolica indicando i luoghi dove guadagnare l’indulgenza. Sulla mappa della nostra Penisola sono segnate oltre 31.500 chiese. Non tutte degne di nota dal punto di vista architettonico, ma spesso spettacolari e colme di capolavori. A prescindere dagli aspetti religiosi, contribuiscono a rappresentare l’Italia, il Paese della bellezza. Oltre 9 mila sono dedicate alla Vergine. Oltre 1.500 i santuari Mariani, addirittura 2.133 le località con un nome legato a Maria, segno importante di identità. Ne siamo ancora coscienti?
Il 29 dicembre quando sono state aperte le porte delle cattedrali, gesti, luci, processioni, canti popolari hanno arricchito le cerimonie rivelando la semplicità che accompagna la religiosità dei nostri e degli altrui territori
Papa Francesco nella “Spes non confundit” ha delocalizzato i due elementi dell’Anno Santo, pellegrinaggio e “Porta santa”, forse ispirato dal modello aquilano della Perdonanza (una chiesa come luogo di incontro, un cammino comune e l’ingresso in una chiesa giubilare). Questo, per aiutarci a comprendere le cose che, quotidianamente, guardiamo ma non vediamo. Infatti, scrive: «Passare da una città all’altra nella contemplazione del creato e delle opere d’arte permetterà di fare tesoro di esperienze e culture differenti, per portare dentro di sé la bellezza che, armonizzata dalla preghiera, conduce a ringraziare Dio per le meraviglie da Lui compiute». Perché per cercare Dio basta essere attenti ai dettagli delle meraviglie che incontriamo.