Mai come oggi dovremmo convergere tutti sulla necessità di un approccio integrato tra gli interventi di natura pubblica e quelli di iniziativa privata nel campo della protezione sociale, con un’attenzione mirata all’area del welfare occupazionale e aziendale.
Il motivo è sotto i nostri occhi: la forte mutazione della struttura demografica cui stiamo assistendo, con l’aumento della vita media che determina nel tempo l’incremento della popolazione dei cosiddetti grandi anziani (al 1° gennaio di quest’anno oltre 4,5 milioni di individui hanno età pari o superiore agli 80 anni) è sicuramente uno dei fattori più rilevanti nel ridefinire il livello dei bisogni sociali. È su questo perimetro che dovremo misurare l’adeguatezza o meno sia dell’offerta pubblica, che riesce oggi a raggiungere solo una quota modesta delle persone che avrebbero bisogno di qualche forma di sostegno, sia dell’insieme degli interventi di welfare integrativo.
La sfida è impegnativa e, sic stantibus, persino gli schemi di sanità integrativa e previdenza complementare stentano a coprire un rischio strettamente collegato all’invecchiamento e sempre più diffuso, quale la non autosufficienza in età anziana.
Piramide delle età al 1° gennaio 2004 e 2024
Fonte: Istat, Ricostruzione intercensuaria della popolazione residente (2004);
Popolazione residente per sesso, età e stato civile al 1° gennaio (2024, dati stimati)
Proprio sul terreno dell’esposizione al rischio della non autosufficienza, occorrerà favorire una maggiore cooperazione fra i diversi schemi integrativi esistenti, in modo da superare i limiti attuali. Dal mondo assicurativo, infatti, consci della portata raggiunta dalla sanità integrativa che copre i fabbisogni di circa 12 milioni di persone, arriva l’auspicio di lavorare insieme con l’obiettivo di sondare le potenzialità di un sistema di welfare che sia effettivamente integrato tra lo Stato, le organizzazioni sindacali, la territorialità, la contrattazione collettiva.
La non autosufficienza rappresenta uno dei rischi a cui siamo più esposti. Per questo serve maggiore cooperazione tra i diversi schemi integrativi esistenti
Affinché l’integrazione funzioni meglio, occorre che il pubblico e il privato si riconoscano reciprocamente: da un lato il welfare pubblico potrebbe confrontarsi con il privato legittimandone in modo più chiaro e trasparente la funzione sociale, dall’altro la parte privata riuscirebbe a superare la propria autoreferenzialità, riconoscendo appieno al soggetto pubblico la sua funzione di regolatore. Certo è che integrare l’assistenza sanitaria aziendale alla sanità pubblica è la via maestra. Sempre più spesso, infatti, il sistema pubblico non è in grado di rispondere prontamente alle esigenze dei pazienti che destinano enormi somme di denaro in spese private sanitarie, con la conseguenza che la spesa sanitaria out of pocket in Italia è diventata la più alta in Europa.
Invece di interrogarci sulle attribuzioni regionali, dovremmo preoccuparci della possibilità stessa di accesso alle cure da parte delle famiglie. Quindi, ammettere che qualsiasi potenziamento della spesa sanitaria pubblica sarebbe inadeguato rispetto al sottofinanziamento cronico del sistema, comparato ai reali fabbisogni sanitari. Riteniamo così indispensabile coinvolgere sempre di più la contrattazione collettiva e aggiornare o rimuovere tutti i limiti normativi e fiscali che limitano di fatto la diffusione di soluzioni integrative.
Sono anni che parliamo di integrazione tra sanità pubblica e assistenza sanitaria privata, tra welfare pubblico e privato: la sanità integrativa dovrebbe offrire un supporto alla presenza del Ssn sul territorio, una maggiore capillarità e un deciso avanzamento tecnologico, con una particolare attenzione al progresso tecnologico, tra cui la telemedicina. E dovrebbe farlo non solo per estendere forme di copertura per prestazioni che oggi risultano esclusi dai Lea.
In realtà il mercato assicurativo propone un’offerta molto ampia, ma talvolta anche poco qualificata e poco specialistica. È il caso proprio del management industriale, il cui Ccnl introduce obblighi di tutela a carico dell’impresa, ai quali il contratto assicurativo deve essere perfettamente aderente. Il risultato finale è un paradosso. Si verifica infatti un’incongruità del contratto stesso, che porta le aziende a dover risarcire direttamente il danno sofferto dal dirigente ogniqualvolta le fattispecie tutelate dal Ccnl non trovino analoga copertura nella polizza. Ecco, dunque, l’impellente necessità di un riordino della normativa che regolamenti il welfare integrativo: le compagnie di assicurazione, i fondi sanitari integrativi o le mutue sono oggi sottoposti a obblighi minimi di informazione rispetto alla propria gestione.
In questo contesto possiamo convenire agevolmente che le associazioni di categoria quali corpi intermedi giochino un ruolo strategico per promuovere una cultura aziendale sensibile ad affrontare i bisogni emergenti nei territori e a spingere anche le aziende a metterci del loro, aspetto non sempre semplice.
Ecco perché riteniamo cruciale che il welfare aziendale risulti sempre più vantaggioso per le imprese non solo dal punto di vista fiscale, ma anche in ottica di sviluppo che può innescare nel proprio territorio.
Le associazioni di categoria giocano un ruolo strategico per promuovere una cultura aziendale sensibile ad affrontare i bisogni emergenti nei territori e a spingere anche le aziende a metterci del loro, aspetto non sempre semplice
In Praesidium, ente del sistema Federmanager e broker del Fondo Assidai, possiamo vantarci di aver contribuito e di contribuire, con la nostra rete di “welfare manager” geolocalizzata su tutto il territorio, a diffondere presso le imprese questa cultura del welfare aziendale di origine contrattuale e non. La nostra esperienza ci porta a evidenziare un problema comune per molte aziende, quello di effettuare notevoli investimenti nei piani di reward, senza riuscire spesso a trasferirne l’effettivo valore; alcuni benefit risultano sottoutilizzati, altri non vengono addirittura percepiti.
Per un welfare integrato tra pubblico e privato ancor più efficace e rapportato alla realtà che stiamo vivendo, non possiamo non considerare anche fenomeni conclamati come la longevità, e quindi l’invecchiamento della popolazione, la bassa natalità, e quindi il reale sostegno alla genitorialità. Aspetti come la tutela della maternità, gender equality, smart working, tutele assicurative, congedi parentali, sono ormai parte integrante delle politiche aziendali.
In tema di welfare aziendale abbiamo certamente visto far tanto in questi ultimi anni, ma dobbiamo continuare a compiere passi in avanti attraverso nuovi strumenti coinvolgendo tutte le parti interessate, a partire dal legislatore; semplificazione della normativa, personalizzazione dei piani di welfare e accoglimento di una cultura diversa attraverso l’ascolto, la concretezza e la capacità di rinnovarsi sono passi imprescindibili per poter raggiungere gli obiettivi del benessere in azienda.