Lucia Riganelli, medico chirurgo specialista in ginecologia e ostetricia
Quando parliamo di salute, non parliamo più di assenza di malattie. Ci riferiamo piuttosto a una condizione ampia di benessere, di equilibrio tra corpo e mente, di relazione positiva tra noi e l’ambiente che ci circonda. Una dimensione complessa che, per i professionisti della medicina, implica un impegno che supera la specializzazione acquisita e abbraccia la cultura della prevenzione. Interprete di quella che viene definita “lifestyle medicine”, ovvero la medicina che cura a partire dagli stili di vita, incontriamo Lucia Riganelli, medico chirurgo specialista in ginecologia e ostetricia, in attività presso la Paideia international hospital di Roma, dove esegue anche check up rivolti alle aziende.
Dottoressa, che significa curarsi a partire dagli stili di vita? Che riscontri riceve dalle sue pazienti?
Mi sono specializzata in lifestyle medicine e nella medicina anti-ageing studiando l’epigenetica, ovvero come i fattori esterni svolgono un ruolo chiave nell’invecchiamento cellulare e nell’infiammazione cronica di basso grado. Ritengo sia essenziale parlarne perché potremmo trarne benefici individuali e collettivi. È importante mirare al raggiungimento della miglior qualità della vita, soprattutto per le donne, ed è per questo motivo che io promuovo programmi personalizzati pensati in base alle esigenze di ciascuna. Questa visione della medicina a 360° è per me l’unico modo di fare il bene degli altri.
Come si realizza in concreto?
Innanzitutto, attività fisica, almeno due volte a settimana, perché contribuisce alla riduzione dello stress cronico, riduce l’insulinoresistenza e fa aumentare le performance lavorative migliorando la qualità della vita. Poi, pensando ai più giovani, io sono tra coloro che si schierano contro l’abuso della tecnologia: la legge dovrebbe intervenire vietando gli smartphone fino ai 14 anni.
Parlando di “salute riproduttiva”, quali sono i fattori che contano?
La prevenzione di fattori di rischio specifici attraverso uno stile di vita idoneo per fascia di età porterebbe a una ridotta “infiammazione silente”. Mi spiego meglio: eseguire attività fisica regolare e alimentarsi con un regime proteico riduce l’infiammazione sistemica e ritarda, bloccandolo, l’invecchiamento cellulare garantendo la conservazione di una buona riserva ovarica futura. Inoltre bisognerebbe informare responsabilmente le donne in merito alle possibilità di concepimento, che si riducono con il tempo a partire dai 35 anni di età, e informarle anche circa la possibilità di crioconservazione ovocitaria (social freezing).
Fare attività fisica, almeno due volte a settimana, contribuisce alla riduzione dello stress cronico, riduce l’insulinoresistenza e fa aumentare le performance lavorative migliorando la qualità della vita
Di crioconservazione degli ovuli in effetti si parla poco e spesso è vissuta come un tabù. Come andrebbe comunicata?
È un tema che andrebbe affrontato con più determinazione, ma va tenuto a mente che si tratta comunque di una procedura medico-chirurgica che può determinare effetti collaterali a breve e lungo termine. È importante che sia sviluppata una consapevolezza sulla responsabilità individuale nella scelta a eseguire la crioconservazione ovacitaria in un’età congrua, sapendo che, se si esegue prima dei 34 anni, le percentuali di gravidanza futura rimangono alte.
Quali sono le cause principali che potremmo rimuovere per favorire un aumento delle nascite e quali misure di welfare sono più urgenti per incentivare la genitorialità?
C’è un’evidente correlazione tra genitorialità e dinamiche lavorative. Quando una donna si inserisce nel mondo del lavoro, in molti casi è già iniziato il decremento della riserva ovarica, che si verifica tra i 32 e i 35 anni. Dall’altro lato, spesso una scelta precoce in favore della maternità ritarda, o persino preclude, l’accesso al mondo del lavoro. Altro tema è il reintegro dopo l’allattamento che non garantisce le stesse mansioni pregravidiche. Basterebbe garantire asili nido gratuiti, assicurare la posizione lavorativa pregressa al rientro dall’allattamento, incentivare la flessibilità oraria, optare per lo smart working responsabile: tutte misure di welfare che potrebbero rappresentare un volano per l’incentivo a procreare.
Lei è testimone di tante storie di donne, anche arrivate in posizioni di responsabilità in azienda: quali difficoltà incontrano dopo la gravidanza?
Soprattutto per chi ricopre posizioni apicali in azienda, oggi è più complicato scegliere di diventare madri. Non di rado mi capita di assistere al mancato ripristino nella mansione precedente alla gravidanza o al demansionamento mascherato, soprattutto nelle manager.
Nel mondo del lavoro di oggi, anche a livello manageriale, si parla molto di work-life balance. Mi offre una sua definizione?
Il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo. Per mantenere una buona qualità di vita ed essere quindi più performanti al lavoro si deve trovare un compromesso. A patto di una produttività maggiore, si potrebbero flessibilmente ridurre i giorni lavorativi settimanali o le ore giornaliere o, ad esempio, introdurre la pausa di self empowerment (corsi di training personalizzato, pratica di alcune discipline, free time…). Includere una consulenza di lifestyle medicine nei percorsi di check up medico aziendale potrebbe essere rivolto proprio a questo: se le persone stanno bene e in salute, anche la performance dell’impresa migliora.