La nostra pizza sa di dignità, sa di amore, ma senza retorica. Inizia così la conversazione con Nico Acampora che racconta a Progetto Manager una straordinaria idea: seminare al vento per far fiorire il cielo.
Solo l’1,7% dei ragazzi affetti da autismo svolge un’attività lavorativa. Con PizzAut avete messo a punto un modello che combina lavoro e dignità, dimostrando che possono esistere possibilità concrete di inserimento e di inclusione. Come ci siete riusciti?
L’idea di PizzAut è stata una specie di illuminazione, da quel momento non abbiamo mai smesso di credere nel nostro sogno. Certo, per arrivare a quello che abbiamo costruito fino a oggi abbiamo lavorato incessantemente, superando ostacoli enormi, sempre con l’obiettivo di parlare e far parlare di autismo. Abbiamo creato reti e condiviso il progetto con associazioni, aziende, istituzioni e non ci siamo mai fermati anche di fronte a scetticismi o disinteresse, che vi assicuro, non sono mancati sul nostro cammino.
Ritiene che questo modello sia esportabile? Che possa favorire l’inclusione di altre forme di disabilità nel mondo del lavoro e in che modo?
Assolutamente sì. Noi stiamo dimostrando che assumere pizzaioli, camerieri e in generale personale autistico significa soprattutto assumere persone motivate, forti di un profondo desiderio di mettersi in gioco e di diventare grandi professionisti. Significa arricchire l’azienda di professionalità capaci e costruttive.
Abbiamo creato reti e condiviso il progetto PizzAut con associazioni, aziende, istituzioni. Non ci siamo mai fermati anche di fronte a scetticismi o disinteresse, che non sono mancati sul nostro cammino
Ci racconta qualcosa sul metodo formativo e come riuscite a sviluppare le sinergie tra diverse professionalità?
Il nostro metodo formativo si è evoluto nel tempo. Inizialmente era un “learning by doing” presso ristoranti non nostri. Da quando abbiamo le pizzerie il sistema è strutturato anzitutto con 200 ore di formazione. I ragazzi sperimentano diversi ruoli e noi capiamo le loro inclinazioni, in quali attività riescono meglio, gli aspetti su cui bisogna lavorare e le difficoltà da superare. Svolgiamo con “Aut Academy” questa prima parte di formazione “scolastica”, anche se è un po’ improprio definirla così perché è legata al fare. Segue poi l’alternanza scuola-lavoro che ci permette di mettere a sistema ciò che abbiamo imparato. Il ristorante è un ambiente formativo straordinario dal punto di vista professionale, ma soprattutto dal punto di vista relazionale, il vulnus più importante per i ragazzi autistici.
Non essendoci esperienze a cui far riferimento abbiamo studiato tecnologie essenziali o più strutturate che aiutano la formazione e l’apprendimento: ogni limite presuppone una strategia per superarlo.
I locali, ad esempio, hanno una insonorizzazione particolare per evitare stimoli uditivi, le cappe nelle cucine sono sovrasviluppate e con una capacità di riciclo dell’aria molto potente per evitare lo stimolo olfattivo, altrettanto fastidioso. Le bottiglie e i bicchieri sono bellissimi, leggerissimi e indistruttibili, in polipropilene. I piatti non sono in ceramica, perché diventano bollenti, ma in legno. Utilizziamo forni “a tunnel” che rendono perfettamente autonomi i ragazzi. Facciamo una pizza straordinaria e da noi lavorano solo pizzaioli autistici.
C’è poi un altro aspetto da sottolineare: in tutti i ristoranti abbiamo un tavolo grande dove mangiamo. All’inizio si faceva fatica a stare seduti insieme. Invece stare insieme vuol dire costruire un senso di appartenenza, di comunità e di socialità davvero straordinario. Un momento “informale” ma altamente “formativo”: a questo tavolo facciamo anche il briefing delle serate che sono complesse perché i ristoranti sono grandi, Cassina ha 250 posti e Monza 350.
Voi state svolgendo un’enorme attività di sensibilizzazione delle istituzioni sul tema della occupabilità post-scolastica di persone affette dallo spettro autistico. Che tipo di ostacoli e di opportunità avete trovato? Quanto ancora si potrebbe fare per rendere “sistematici” progetti come il vostro?
Se guardo indietro e vedo la strada percorsa, penso di averne fatta tanta, ma se guardo avanti mi accorgo di aver fatto solo due passi. Perché la via da percorrere è enorme, infinita, non solo con le istituzioni che, se mi consentite, è il meno. Il percorso più arduo è quello con le aziende. Nel nostro Paese le leggi ci sono, sono spesso ottime, ma assolutamente inapplicate. Le aziende hanno l’obbligo di assumere una persona disabile ogni 15 dipendenti, la stragrande maggioranza “monetizza” la mancata assunzione obbligatoria pagando una multa. La somma delle sanzioni riscosse da tutte le regioni è un dato imbarazzante, che nessuno vuole vedere. Io preferisco richiamare le aziende alla loro responsabilità sociale. È inutile parlarne se poi non facciamo nulla. Stiamo sviluppando una rete di imprese che hanno il desiderio di fare inclusione vera e grazie alle sollecitazioni di PizzAut alcune stanno assumendo persone autistiche.
Le aziende hanno l’obbligo di assumere una persona disabile ogni 15 dipendenti, la stragrande maggioranza “monetizza” la mancata assunzione obbligatoria pagando una multa
Lei sostiene che le aziende hanno il dovere di assumere persone con disabilità, non per beneficenza, ma per rendere migliori le imprese. Come riesce a farlo comprendere ai decisori aziendali?
Invitandoli da PizzAut, mostrando loro concretamente che un mondo inclusivo non solo è possibile, ma è bellissimo. Qui possono vedere i ragazzi all’opera, conoscerli e comprendere i loro progressi. Osservare come anche l’ambiente sociale che generano sia più accogliente per tutti, non solo per loro. In generale, una società accogliente per i più fragili è una società accogliente per tutti.
Impegnare delle persone con disabilità nel modo giusto può portare una grande arricchimento. Tutti i miei ragazzi hanno la 104 ma non sono mai assenti, quando sei stato sempre in casa o in un centro e trovi finalmente un ambiente di lavoro che ti accoglie, ci “vuoi andare”, al di là dello stipendio.
Ci sono poi forme di autismo che sviluppano doti particolari. Molte aziende hi-tech assumono ingegneri autistici, persone dette ad “alto funzionamento”, che hanno una capacità di analisi dei dati non convenzionale. La maggioranza però sono “autistici comuni”, ma possono fare tante cose e farle anche bene.
Il sogno di costruire un mondo migliore, di rendere possibili le cose impossibili, un’utopia che nei fatti è diventata realtà. Quali altri progetti avete per il futuro?
A breve inaugureremo i primi food truck che saranno operativi nelle province di Monza e Milano. Abbiamo parlato per la prima volta del progetto in occasione del Primo maggio e siamo ai nastri di partenza. L’obiettivo è averne uno per ogni provincia d’Italia e dare in gestione il food truck a realtà associative, onlus, che si occupano di autismo così da proporre posti di lavoro “Aut” in tutta Italia. Ogni mezzo potrà impiegare fino a 5 persone autistiche. Stiamo organizzando corsi mirati proprio per formare una cinquantina di giovan* autistic* che poi lavoreranno sui PizzAutoBus.
Perché lo facciamo? Perché il lavoro è un veicolo fondamentale di inclusione sociale, il progetto PizzAut nasce esattamente con questo presupposto e con l’obiettivo di trasformare i nostri ragazzi e le nostre ragazze in cittadini attivi, in contribuenti. PizzAut è un laboratorio di inclusione sociale, un amplificatore della nostra idea di futuro, le aziende sono il luogo in cui il risultato di questo laboratorio diventa realtà.