In Ai 2041, libro che accosta dieci racconti di fantascienza ad altrettante spiegazioni delle frontiere delle tecnologie che ci attendono tra vent’anni, gli autori Kai-Fu Lee, l’ex presidente di Google Cina e mente dietro il fondo di venture capital Sinovation, e lo scrittore cinese di fantascienza Chen Qiufan, immaginano una società dell’abbondanza. Un mondo in cui non manca niente, non c’è scarsità di beni e tutti si possono permettersi ciò che vogliono. A generare la ricchezza ci pensa l’intelligenza artificiale. Robot fanno funzionare le fabbriche, occupandosi di produrre 24 ore su 24, sette giorni su sette, senza sosta. Algoritmi governano i flussi produttivi, determinano i ritmi di realizzazione delle merci, si occupano della logistica.
Altri stabiliscono i flussi di energia per ottimizzarne i consumi. E altre forme di automazione coprono l’ultimo miglio, le consegne, il servizio clienti. Fantascienza? Neanche troppo. Ne è passata di acqua sotto i ponti dai tempi di Unimate, il primo robot industriale brevettato, che si occupava di manipolare i pezzi realizzati in pressofusione e poi saldati sulle carrozzerie delle automobili. L’idea è degli anni Cinquanta, la prima installazione nel 1961 in uno stabilimento della General Motors. Da allora la lenta marcia è diventata una corsa di velocità. Secondo la Federazione internazionale dei robot, nel 2022 a livello globale sono stati censiti 3,5 milioni di robot, per un controvalore di 15,7 miliardi di dollari. Una cifra che, a seconda delle previsioni, può arrivare persino a decuplicare entro il 2030. Perché, come riconosce la federazione del settore, i robot possono migliorare l’efficienza energetica della produzione industriale e facilitare il rientro di filiere entro i confini nazionali o in Paesi vicini (re-shoring e near-shoring). Saranno strumenti più semplici da usare e da riciclare, quando smettono di funzionare. E soprattutto potranno svolgere più compiti, perché a governarli c’è l’intelligenza artificiale.
Nel 2022 a livello globale sono stati censiti 3,5 milioni di robot, per un controvalore di 15,7 miliardi di dollari
L’Ai potrà migliorare la capacità dei robot, consentendo loro di replicare alcune abilità tipiche dell’uomo, specie in quei mestieri artigianali che ancora oggi sono preclusi alle macchine per questione di manualità. Non solo: l’intelligenza artificiale consente di governare l’imprevedibilità e l’oscillazione dell’ambiente esterno. Insomma, rispondere all’entropia prendendo decisioni rapide sulla base dei dati storici archiviati e quelli forniti in real time, riorganizzando le catene e i flussi di lavoro, ottimizzando i processi e i consumi, prevenendo eventuali blocchi dovuti a disservizi attraverso la manutenzione predittiva. Ancora: l’intelligenza artificiale può utilizzare le informazioni sui consumi per produrre solo lo stretto necessario e non avere giacenze in magazzino. E, infine, l’intelligenza artificiale consente di realizzare su larga scala la personalizzazione dei prodotti. Facendo in modo che le efficienze che Ford aveva immaginato per la catena di montaggio diventino a portata di mano per una produzione su misura del singolo.
Ma non di solo robot vive una fabbrica. Ci saranno ancora persone umane all’interno degli impianti, impiegate per funzioni di controllo e monitoraggio. Si aiuteranno sempre con l’intelligenza artificiale, che consentirà di aggregare i dati e di aiutarli a prendere decisioni difficili e complesse basandosi non solo sull’esperienza o sulle impressioni del momento, ma anche su grandi moli di informazioni processate, rielaborate per essere immediatamente comprensibili ma anche attraverso un’interrogazione più fluida, attraverso domande e risposte rivolte a un vero e proprio assistente personale che accompagna passo dopo passo il lavoratore, lo consiglia e interagisce in modo naturale, come fosse un collega. E la stessa intelligenza artificiale può prevenire situazioni di pericolo, leggendo dall’incrocio dei dati segnali di rischio e avvertendo per tempo il personale umano, preservandone la sicurezza. Anche lavorando da remoto, affidando alla guida dell’uomo robot connessi in 5G a una centrale che si trova a debita distanza da situazioni di pericolo. Questo scenario quasi perfetto, tuttavia, non è esente da rischi.
Il primo e il più importante è il pericolo di attacchi informatici. Perché si realizzi la fabbrica guidata dall’intelligenza artificiale, occorre smaterializzare l’hardware degli impianti. Trasferire i dati in cloud, dove avviene l’elaborazione delle informazioni a cui ogni terminale, sia esso un sensor o un robot, contribuisce per la sua parte. Sviluppare il cosiddetto industrial internet of things, far dialogare tra di loro in autonomia i pezzi della fabbrica perché si autogestiscano, ottimizzando i processi. Ne consegue una estensione della superficie digitale della fabbrica che la espone a un maggiore pericolo di incursioni indesiderate, con conseguenze che possono andare da un blocco degli impianti fino a una sofisticazione del prodotto finale. Basta immaginare cosa potrebbe succedere se un gruppo di criminali informatici violasse un’industria farmaceutica e sostituisse i principi attivi di un medicinale.
L’intelligenza artificiale può prevenire situazioni di pericolo, leggendo dall’incrocio dei dati segnali di rischio e avvertendo per tempo il personale umano
L’altra sfida riguarda la capacità delle piccole e medie imprese di poter salire a bordo di questo treno ad alta velocità. Secondo Marco Taisch, docente di Advanced e sustainable manufacturing del Politecnico di Milano e presidente del Competence center 4.0 Made, «in una fabbrica ci sono molte attività di tipo manuale e cognitivo, che spesso sono correlate. Per esempio, nel caso dell’analisi della situazione di montaggio di un pezzo c’è da decidere e agire: sono decisioni cognitive e anche ripetitive. In questo caso l’AI può sostituirsi all’uomo nel prendere queste decisioni e lo fa anche meglio, lo fa in maniera più veloce e con una affidabilità della decisione costante nel tempo. Facciamo un parallelo: quando abbiamo preso i robot e li abbiamo messi in verniciatura, lo abbiamo fatto per ragioni di sicurezza e salubrità e perché la qualità della verniciatura ne godeva perché era costante e migliore. Sarà uguale con l’AI: avremo una decisione più veloce e migliore. Con un doppio vantaggio: quella persona va a fare attività cognitive non ripetitive che l’AI non può fare e che richiedono creatività per trovare una soluzione che solo l’uomo sa fare e l’uomo a quel punto si nobilita.
Tutte le persone hanno voglia di fare questo salto? Molti no. Con approccio routinario vogliono continuare a fare lo stesso. Ma la routine decisionale, che sembra nobile, alla fine tanto nobile non è». Per Taisch, oltre a un aumento della produttività e della qualità delle decisioni, come terzo elemento avremo risposte a problemi di modellazione che con i metodi tradizionali non si potevano risolvere. L’AI potrà dare una spinta al made in Italy, ma Taisch evidenzia un elemento di rischio: «La dimensione media delle nostre imprese è piccola e non si sposa bene con il fatto che ho bisogno di competenza per l’AI. C’è quindi il rischio che la piccola impresa, con più difficoltà a formare le competenze, soccomba in questo processo e aggravi il digital divide». Una sfida da affrontare per non perdere il treno delle opportunità del futuro.