Per qualche istante la sensazione è stata quella di trovarsi nel Metaverso. Invece eravamo in un’aula, il primo giorno di scuola lo scorso 12 settembre, in una situazione felicemente reale. Studenti e professori a viso scoperto, abbracci, intervalli e merenda insieme nei corridoi.
E finalmente, fuori dalle mascherine tratti di volti che in presenza non vedevamo da tempo, in alcuni casi persino sconosciuti. La vita scolastica ha ripreso i suoi ritmi impregnati di futuro.
Reale, presenza, vita, futuro sono le parole chiave dell’anno 2022/2023, per studenti e manager (anch’essi tornati in presenza con i loro colleghi) e la sfida si gioca su come e in che misura riusciremo a renderle quattro pilastri relazionali e formativi. Il paradosso che stiamo vivendo, nella scuola in particolare, è che non siamo mai stati così ricchi di strumenti educativi innovativi: e-learning, strumenti digitali, metodologie didattiche di nuova generazione, corsi, esperti e manuali per apprenderne l’utilizzo. Eppure ci ritroviamo tra le mani, mai come ora, profonde difficoltà formative ed educative.
Importante l’investimento del Pnrr dedicato alla Scuola 4.0, un tesoro di euro, 2,1 miliardi, da investire per trasformare circa centomila classi tradizionali in ambienti inclusivi e innovativi di apprendimento adattabili, flessibili e digitali, al di là della emergenza pandemica. Un tesoro che per dare i suoi frutti deve essere seminato in un terreno fertile. E in latino, non a caso, fertile si dice felix. Innovare la scuola, come ogni aspetto dell’esistenza, significa provocare un cambiamento rispetto all’ordine naturale delle cose come siamo abituati a svolgerle. Significa piegare, rendere flessibile il nostro sguardo (ce lo dice il verbo greco kamptein da cui deriva la parola cambiamento) per adattarlo ai giovani che abbiamo davanti, renderlo nuovo ogni singolo giorno davanti a ogni singolo studente, uno sguardo in evoluzione.
Il paradosso che stiamo vivendo, nella scuola in particolare, è che non siamo mai stati così ricchi di strumenti educativi innovativi. Eppure ci ritroviamo tra le mani, mai come ora, profonde difficoltà formative ed educative.
La scuola innovativa parte da qui, dallo spiegamento di forze umane e tecnologiche. L’obiettivo? Costruire per le nostre ragazze e i nostri ragazzi un ambiente di apprendimento dove rimane impresso ciò che ha acceso la curiosità in un luogo che sia una fusione equilibrata tra fisico (e reale) e virtuale. I ragazzi apprendono con curiosità ciò che ha a che fare con la loro vita e con la costruzione della loro personalità, tassello dopo tassello, gettando luce su aspetti bui della loro adolescenza. E questo qualcosa non deve essere necessariamente virtuale. Occuparsi del reale è il punto nevralgico più delicato, è da lì che parte il viaggio dei nostri giovani e delle nostre giovani verso la consapevolezza di sé, dei loro sogni e delle loro potenzialità. Alla ricerca del proprio daimon, il talento di ciascuno.
Si chiama cura di sé e, come ci insegna Socrate, se non impariamo a prenderci cura di noi stessi, come possiamo pensare di curare e conoscere quello che è fuori da noi. Amiamo ciò che conosciamo. La scuola è il luogo della cura di sé, dove mettere in campo anche le Ncs, Non cognitive skills, meno visibili agli occhi ma realmente importanti per creare con gli studenti un ambiente di condivisione e lavoro di alta qualità relazionale.
Un ambiente dove offrire competenze olistiche (apprezzo molto chi usa questa definizione per indicare la completezza), che formino la persona nel suo insieme (creativo, umanistico e scientifico), nell’insieme dei suoi sbocchi professionali.
Siccome poi l’innovazione è figlia delle idee, il mondo è di chi ha le idee, ricordiamolo spesso ai nostri figli e ai nostri studenti, e della capacità di visione, è necessario tenerla ben nutrita. E uno degli alimenti più energetici è la letteratura, antica e moderna. Cibo per la mente.
Leggerla a scuola, insieme, ad alta voce rende capaci di punti di vista diversi dal proprio oltre a essere un esercizio di creatività e, come sosteneva Umberto Eco, un moltiplicatore di vita.
Tra gli esempi infiniti di libri che si possono leggere insieme, in un’ambiente a misura di studentesse, c’è una commedia greca di Aristofane, si intitola gli Uccelli. L’autore l’ha messa in scena un giorno del 414 a.C. nel teatro di Atene, all’aperto, immaginando che due cittadini ateniesi, Evelpide (lo Speranzoso) e Pistetero (l’Amico fedele) delusi dalla loro città, la lasciano per sempre, per un luogo più sicuro in cui vivere, al riparo dalle brutture della quotidianità. Ed è così che Pistetero ha un’idea audace e geniale: fondare nel cielo una città, una nuova città degli uccelli, animali liberi per natura, ridurre alla fame gli dèi (intercettando i sacrifici che gli uomini fanno in loro onore) e costringere Zeus a cedere il suo potere universale. La città si chiamerà Nubicuculia. Con l’aiuto dei pennuti e degli uomini Pistereo diventa il nuovo signore degli alati con il diritto di succedere a Zeus. Un volo della fantasia, una riflessione sul desiderio di fuggire.
Insomma, un Metaverso fatto di pagine, immagini della mente, in cui immergersi all’occorrenza. Cioè ogni giorno.