Il settore dei trasporti sta affrontando un’accelerazione verso la digitalizzazione e l’automazione attraverso un uso sempre più crescente delle tecnologie dell’informazione. Tra queste possiamo citare i sistemi avanzati di informazione ai viaggiatori che integrano i dati per fornire indicazioni accurate, affidabili ed in tempo reale. Questi sistemi hanno tra le loro finalità quella di promuovere la multi-modalità, grazie all’integrazione dei dati provenienti da diversi modi di trasporto. Inoltre, sono anche il requisito per lo sviluppo del concetto di mobilità come servizio (Mobility as a Service – MaaS), oggi uno dei temi centrali a livello europeo perché ritenuto uno strumento per migliorare l’efficienza, la sostenibilità e l’inclusività dei sistemi di trasporto. La corrente di pensiero dominante vede infatti il MaaS come l’elemento che permette la transizione da un modello di mobilità mono-modale, incentrato sulla proprietà individuale del proprio mezzo di trasporto, ad un modello di mobilità multimodale basato sui servizi. A tal fine, è necessario un approccio olistico, che assicuri che tutte le modalità di trasporto siano incluse in un’unica piattaforma digitale, per offrire un servizio su misura per l’utente in funzione del contesto e dei bisogni dello stesso, e diventino “green”, contribuendo all’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica.
Per meglio comprendere la complessità della sfida verso una mobilità più sostenibile, è bene considerare la grande quantità di modi di trasporto che oggi popolano le nostre città: oltre alle automobili, al taxi, al trasporto pubblico ed alla bicicletta, si sono aggiunte le stesse modalità in condivisione (sharing), con la recente introduzione dei monopattini (elettrici) e degli stessi servizi, ma a trazione elettrica. Il pensiero dominante definisce la mobilità condivisa, meglio nota con il termine anglosassone di “shared mobility”, come un nuovo servizio e una delle soluzioni suggerite dalla Commissione europea per orientare la mobilità verso una maggiore sostenibilità. La mobilità condivisa non è però un modello nuovo, bensì l’evoluzione del tradizionale “car rental” che, a sua volta, è passato da un affitto a ore a un sistema onnipresente che include l’uso condiviso e, in futuro, le auto a guida autonoma. Un siffatto cambiamento ha, ovviamente, indotto le aziende automobilistiche a ripensare il loro ruolo e immagine, diventando anche fornitori di servizi di mobilità. Le aziende più attive in questa trasformazione sono Mercedes-Benz con Car2Go, General Motors con Lyft, Maven, Turo (con Google), Citroen con Multicity, Bmw con ReachNow, Ford con Chariot e Audi con Silvercar.
La mobilità condivisa non è un modello nuovo, bensì l’evoluzione del tradizionale “car rental” che, a sua volta, è passato da un affitto a ore a un sistema onnipresente che include l’uso condiviso e, in futuro, le auto a guida autonoma.
Anche le aziende di trasporto pubblico (Sncf, Transdev, Keolis) hanno seguito questa tendenza e supportano o hanno creato aziende di car sharing mente le aziende di car rental, quali ad esempio Enterprise con Car Share e RideShare (vRide) e Hertz on Demand, hanno aggiornato il loro business. Inoltre, piccole aziende quali Getaround stanno crescendo in maniera esponenziale e nuovi attori come Apple, esterni al settore dei trasporti, stanno emergendo nei servizi di mobilità.
Questa enorme crescita del settore della mobilità condivisa ha iniziato a far emergere la questione della redditività dei servizi resi e l’individuazione del modello di business più adatto è diventato una priorità per tutte le aziende che operano in questo settore. Infatti, la mobilità condivisa è continuamente messa in discussione dalle dinamiche del contesto in cui opera, per la complessità nel prevedere la domanda dei clienti, l’utilizzo delle tecnologie digitali ed i vincoli economici ed ambientali.
Quanto esposto pone la questione del perché le aziende continuino a investire nei servizi di mobilità condivisa nonostante al momento siano in perdita e, ancora più importante, se questi servizi rappresentino un valore aggiunto per gli utenti e, quindi, per la società. La vera domanda da porsi è se la mobilità condivisa contribuisca effettivamente a rendere la mobilità più sostenibile o se sia solo una diversa forma di mobilità che non porta, però, ad un reale cambiamento nei comportamenti; anche in questo caso, infatti, l’automobile rimane il mezzo utilizzato per spostarsi.
Ci si deve anche chiedere se l’aumento dell’utilizzo di risorse sottoutilizzate, uno dei vantaggi dichiarati della mobilità condivisa, sia soddisfatto. In un nostro studio del 2016 abbiamo osservato come il tempo di sosta delle auto del servizio di car-sharing Car2Go sia piuttosto alto e come il turnover sia migliore solo nel centro città. Uno studio più recente (Cocca et al., 2018), che mostra i dati di utilizzo dei servizi di car sharing nelle città di Torino, Milano, Berlino e Vancouver, conferma l’elevato tempo di non utilizzo delle auto. Il nostro studio ha anche mostrato come il car sharing sia utilizzato per spostamenti che potrebbero essere effettuati con il trasporto pubblico e con la bicicletta, sottraendo così utenti a modi di trasporto più sostenibili.
Di conseguenza, i servizi di car sharing non sono redditizi e costituiscono un pericoloso concorrente del trasporto pubblico e della bicicletta, continuando a rinforzare la percezione positiva dell’auto come modo flessibile, confortevole e veloce, a discapito degli sforzi delle amministrazioni di cambiare il comportamento di mobilità degli utenti.
Inoltre, siccome i servizi forniti non sono (ancora) redditizi, la condizione per raggiungere la redditività è di avere mercati più grandi. A tal fine, le aziende sono interessate a comprendere il profilo dei potenziali utenti ed a segmentare il mercato per capire come personalizzare i servizi offerti per attirare più clienti. La dimensione del mercato rimane comunque la variabile più importante che induce le aziende a offrire i propri servizi solo nelle aree urbane, ad elevata densità, escludendo dal servizio le aree a bassa densità. Questo aspetto non permette di offrire il servizio nelle aree a bassa densità dove la mobilità condivisa potrebbe avere un valore aggiunto e sostituire il trasporto pubblico la cui offerta è troppo costosa.
La dimensione del mercato del car sharing è la variabile più importante, che induce le aziende a offrire i propri servizi solo nelle aree urbane ad elevata densità, escludendo quelle a bassa densità
Si può quindi facilmente dedurre che solo un mercato di vaste proporzioni renderà profittevoli i servizi di mobilità condivisa con l’effetto, però, che più utenti ci saranno meno il sistema di trasporto sarà sostenibile. Non è un caso, infatti, che l’orientamento alla sostenibilità delle piattaforme di sharing economy rappresenti solo la fase iniziale dello sviluppo della piattaforma. Lo sviluppo, dalle prime idee di condivisione e accesso, alle transazioni ed alla professionalizzazione, è una transizione a livello di piattaforma in cui la stessa si focalizza sempre più su temi diversi dalla sostenibilità spostando l’attenzione sulla convenienza economica per l’utente.
Infine, tali piattaforme potrebbero diventare o migrare verso la piattaforma del MaaS (Mobility as a Service) che richiederà una regolamentazione in quanto sarà soggetta a una serie di questioni cruciali: la privacy e la sicurezza dei dati; chi dovrà farsi carico e gestire la piattaforma: il privato, il pubblico, una partnership pubblico-privata; la scala su cui opererà la piattaforma: locale, provinciale, regionale, statale. Senz’altro l’ente pubblico non potrà esimersi dall’assumersi le proprie responsabilità e la grande sfida sarà di capire quali saranno le piattaforme e come gestirle.