Con Gianni Silvestrini parliamo di politiche dell’energia, partendo dalla lettera recentemente inviata al Presidente del Consiglio Mario Draghi, della quale è cofirmatario insieme a Gianni Mattioli, Massimo Scalia e Vincenzo Naso.
In qualità di esperti che “hanno contribuito a disegnare quarant’anni fa l’attuale struttura energetica del nostro Paese”, propongono una riflessione sui prossimi passi da fare in tema di questioni energetiche e sulla quanto mai urgente necessità di far fronte ai cambiamenti climatici e alle loro drammatiche conseguenze.
Per Silvestrini, già direttore generale del Servizio inquinamento e rischi industriali del ministero dell’Ambiente e consigliere per le fonti rinnovabili dell’allora ministro dello Sviluppo economico Pier Luigi Bersani, la “rivoluzione energetica” può essere il cardine per ogni politica economica, industriale e sociale.
Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club
Il dibattito è entrato in una fase cruciale, resa ancora più evidente dalla necessaria risposta alla crisi pandemica provocata dal Covid-19. Per l’esperto, «la debolezza della Ue sul fronte della produzione dei vaccini deve rappresentare un monito a non farsi trovare impreparati di fronte all’emergenza climatica».
Quali sono gli obiettivi che ritiene perseguibili in tema di energia in relazione alla necessità di contrastare i cambiamenti climatici?
L’Europa si è impegnata a diventare “climate neutral” entro il 2050 accelerando con decisione il processo di decarbonizzazione, che consiste nella drastica riduzione dell’uso di carbone, petrolio e metano. Un obiettivo che si raggiungerà elettrificando larga parte del settore dei trasporti e dell’edilizia e facendo crescere in contemporanea il contributo delle rinnovabili. La buona notizia viene dalla drastica riduzione dei prezzi di molte tecnologie, dal solare all’eolico, alle batterie. Oggi un modulo fotovoltaico costa dieci volte di meno rispetto ai valori del 2010.
La buona notizia è la riduzione dei prezzi di molte tecnologie: oggi un modulo fotovoltaico costa 10 volte di meno rispetto al 2010
Ma è chiaro che si tratta di una transizione di enorme portata basata su un consumo più intelligente dell’energia e sulla generazione di elettricità green. Per quanto riguarda il solare, ad esempio, dovremo decuplicare l’attuale potenza. Nei prossimi decenni la diffusione delle rinnovabili non verrà frenata dai costi, ma si dovrà affrontare con intelligenza l’integrazione nel territorio. In questa direzione vanno i recenti sviluppi dell’agrivoltaico che consente di abbinare la produzione agricola a quella solare e i progetti dell’eolico off-shore in mare aperto.
Come valuta le politiche energetiche messe in campo dall’attuale Governo?
L’elettricità verde ha viaggiato con il freno a mano tirato negli ultimi sette anni, e questa situazione va invertita, considerando che dovremo garantire con le rinnovabili oltre due terzi dei consumi elettrici al 2030 (oggi siamo al 35%).
Il principale motivo del mancato sviluppo del mercato è legato alla lentezza dei procedimenti autorizzativi e andranno valutate le proposte per sciogliere questo nodo.
Un altro impegno che spetta al Governo è la rapida rivisitazione del Piano nazionale integrato energia e clima, il Pniec, che era stato predisposto poco più di un anno fa e prevedeva di ottenere alla fine di questo decennio una riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 37% rispetto al 1990. Ma nel frattempo l’Europa si è data l’obiettivo di ridurre al 2030 del 55% i gas climalteranti. Ci aspettiamo quindi un salto deciso del livello delle ambizioni, con importanti ricadute sulla crescita delle rinnovabili, della mobilità elettrica e delle politiche di efficienza.
Quali, invece, le impressioni sulle linee del nuovo ministero della Transizione ecologica?
Accanto a proposte ragionevoli, sono emerse dichiarazioni francamente stonate sul green hydrogen o sul superamento dell’uso delle batterie. Un punto di vista in controtendenza rispetto alle strategie e ai colossali investimenti delle principali case automobilistiche.
Un’altra dichiarazione che ha fatto discutere riguarda la fusione nucleare, una fata morgana che continua ad allontanarsi nel tempo. Il progetto internazionale Iter prevede la generazione di energia elettrica a metà secolo. Sembra del tutto logico investire risorse nelle tecnologie che possono accelerare il processo di decarbonizzazione nel breve e medio termine.
Che cosa ritiene andrebbe inserito nel Pnrr?
Una parte dei finanziamenti dovrebbe servire alla creazione in Italia, certamente in connessione con altri paesi, di una solida base della capacità produttiva green, dagli elettrolizzatori alle celle a combustibile, dal fotovoltaico all’eolico, dai veicoli elettrici alle batterie.
Sul solare va sottolineato che il ricorso all’automazione ha ridotto tanto i costi di produzione da rendere rilevanti le spese di trasporto dall’Oriente nella comparazione con le fabbriche europee.
La stessa attenzione dovrebbe essere posta sugli elettrolizzatori per produrre idrogeno verde, che sul lungo periodo avrà uno spazio decisamente maggiore e costi inferiori rispetto all’idrogeno blu.
E dovremmo creare un’industria produttrice di batterie al litio (rafforzando le prime esperienze avviate) e di autobus elettrici.
Nella vostra lettera parlate dei distretti industriali per le fonti rinnovabili. Come possono contribuire alla transizione energetica?
Esistono in Italia 150 distretti manifatturieri che si differenziano tra loro per specificità produttive e per localizzazione geografica. In futuro assumerà un ruolo sempre più importante la connessione tra imprese in una logica circolare ed energetica. I rifiuti di un’impresa possono diventare input per un’altra. E si stanno immaginando distretti dell’idrogeno, hydrogen valley, per collegare la produzione dalle rinnovabili di idrogeno verde con le possibili utenze e per ottimizzare la realizzazione di infrastrutture. Più in generale si potranno creare delle Comunità energetiche con chiari vantaggi per le aziende che vi parteciperanno.
Si stanno immaginando delle hydrogen valley per collegare la produzione di idrogeno verde alle possibili utenze e per ottimizzare la realizzazione di infrastrutture
La sfida per arrivare a decarbonizzare l’economia italiana in soli trent’anni ha implicazioni gigantesche e obbligherà non solo a ripensare la produzione dell’energia, con un ruolo sempre più spinto delle rinnovabili, ma anche a rivedere i processi produttivi e a incrementare le sinergie tra i vari comparti.
Ha citato le Comunità energetiche. Quale può essere il loro ruolo?
Le nuove regole previste dal recepimento delle direttive sulle rinnovabili e sul mercato elettrico sanciranno il decollo delle Comunità energetiche a partire dal 2022 consentendo la produzione e gli scambi di energia tra produttori e consumatori all’interno di quartieri urbani e aree industriali. I primi interessanti progetti legati al decreto Milleproroghe, spesso con una forte caratterizzazione sociale, iniziano faticosamente a partire, anche se devono scontare il limite ammesso di 200 kW di potenza rinnovabile.
In futuro vedremo coalizioni ampie di utenti che collaborano con l’obiettivo di produrre, consumare e gestire l’energia attraverso più impianti energetici locali. Potremo vedere anche il coinvolgimento dei cittadini di centri urbani in comunità allargate che coinvolgono sistemi solari, parchi eolici, digestori anaerobici installati nei territori circostanti. Una soluzione destinata a favorire il consenso e a distribuire i benefici tra le popolazioni.