Estratto dal numero di giugno 2020
Avevano annunciato il 15 giugno, invece hanno posticipato di un mese. Molte grandi compagnie aeree stanno cercando di tornare a volare, ma sono troppe le variabili con cui fare i conti, dopo che l’emergenza coronavirus ha costretto a terra il 98% del traffico aereo. Riaperto lo spazio Schengen, l’incognita sulla ripresa dei voli rischia di pregiudicare l’intero settore del turismo italiano proprio alla vigilia delle vacanze estive. Secondo Oliviero Baccelli, direttore del master in Economia e Management dei trasporti e delle infrastrutture dell’università Bocconi, nello scenario migliore il 2020 si chiuderà con una perdita tra il 60 e il 70% del trasporto passeggeri.
Oliviero Baccelli, direttore del master in Economia e Management dei trasporti e delle infrastrutture dell’università Bocconi
Per l’università Bocconi, il 2020 si chiuderà con una perdita tra il 60 e il 70% del trasporto passeggeri
Professore, Fiumicino e Malpensa sono i primi scali che hanno ripreso le attività ordinarie. Come descrive la situazione italiana, anche rispetto a quella di altri paesi?
Siamo di fronte a una situazione complessa per tutti. Nel Regno Unito si è giunti al paradosso per cui le tre principali compagnie nazionali hanno portato in tribunale il Governo con l’accusa di essere stato incapace di adottare una strategia per il comparto. Altri paesi hanno introdotto forme di quarantena stringenti che hanno creato ostacoli ai collegamenti. Spagna e Grecia, invece, hanno optato per un’operazione di rilancio, anche in termini di immagine, che ha puntato prevalentemente sul mercato tedesco e probabilmente ne trarranno benefici. Per quanto riguarda l’Italia, segnalo che Wizzair, che è la compagnia tedesca ultra low cost, ha deciso di investire in modo interessante su Malpensa, affiancandosi a Easyjet e Ryanair. Oggettivamente, niente di simile era mai accaduto prima. Nessuna compagnia aerea ha strategie pronte. Nessun Governo ha la ricetta.
Altro dato oggettivo è il calo della domanda. Le persone sono restie a riprendere le abitudini di volo. Quale strategia di pricing sarà vincente?
Oggi le imprese del settore sono alle prese con le simulazioni. Stanno verificando se su quella determinata rotta rappresentano o meno l’unico operatore e, in generale, stanno ripartendo dalle tratte maggiori. La stessa strategia è applicata dalle low cost: quindi, dove c’è un minimo di concorrenza, l’effetto sul prezzo c’è e si vede.
Sulle direttrici internazionali si sono persi 2 milioni di passeggeri. Parliamo di numeri esorbitanti. Finché resta operativa una sola compagnia su tratta, si innescheranno dinamiche di prezzo alterate e irregolari, che dipenderanno esclusivamente dall’operatore stesso. Bisognerà rivedere il revenue management per arrivare al pricing corretto, che sarà molto più sensibile nel day by day: terrà conto non solo dell’instabilità della domanda, ma anche dell’offerta dei vettori che stanno spostando in avanti la data di ripartenza.
E poi il mercato è alterato dagli aiuti pubblici. Cosa pensa del ritorno dello Stato nell’economia, di cui si dibatte?
In questi mesi tutti hanno dovuto ricorrere al supporto pubblico. Il caso Lufthansa, che è interamente privata, ha aperto un dibattito molto acceso in Germania. Altri hanno chiesto finanziamenti statali consistenti. Sono stati iniettati 107 miliardi di dollari su scala globale dai diversi governi. È impossibile immaginare che non intervenga lo Stato.
Certo, nel caso Alitalia, non si tratterebbe della prima volta. Il piano del Governo salverà la compagnia di bandiera?
Qui si trascinano da molti anni elementi di inefficienza evidenti e questa pandemia non può costituire l’occasione per un piano di salvataggio che non consideri anche una revisione drastica della strategia. Tra il ‘95 e il ‘98 il caso Alitalia ha portato all’estremo i rapporti tra Governo italiano, accusato di contravvenire al divieto di aiuti di Stato, e la Commissione europea. Ora lo scenario è diverso, ma dagli errori bisogna pur sempre imparare qualcosa. Non ho un’opinione negativa del piano, ma va pretesa maggiore chiarezza.
Ad esempio?
Va risolto il rapporto tra Alitalia e Aeroporti di Roma. Ci vuole una condivisione del rischio tra le due imprese, non la diversificazione che ha regnato finora. Altra cosa da evitare sono comunicati e annunci che destabilizzano: è fondamentale prendere decisioni vincenti sulle rotte su cui investire. La strategia va affinata, altrimenti un errore sulla scelta di un lungo raggio costerà decine e decine di milioni di euro. Ci vuole capacità di visione da parte del Governo e capacità di incidere sulle scelte da parte dell’azienda. Il modello Alitalia è stato basato su almeno 3 anni di negoziazioni con tantissimi soggetti che hanno impedito al privato, quando era interessato a investire, di avere il controllo sull’azienda. Ora mi pare inevitabile che nelle prime prossime fasi intervenga lo Stato, che accada in modo diretto o tramite Cdp o altre soluzioni rappresenta un dettaglio tecnico che non sposta la questione.
Il modello Alitalia si è basato su anni di negoziazioni con tantissimi soggetti che hanno impedito al privato, quando interessato a investire, di avere il controllo sull’azienda
Qual è il suo punto di vista sugli aeroporti minori? Servono davvero?
Sono stati chiaramente messi in crisi dalla pandemia. Tuttavia, si tratta di infrastrutture che in alcuni casi, come Trapani e Comiso, hanno rappresentato la porta di accesso per il turismo internazionale verso aree del Paese altrimenti non raggiungibili. Non hanno costi gestionali particolarmente invasivi, alle volte si tratta di strutture militari riconvertite. Perciò, non dobbiamo esagerare sulla negatività degli aeroporti minori. Piuttosto, è penalizzante la rigidità nella normativa di gestione che, per esempio, ha sancito la fine dello scalo di Arbatax in Sardegna: vocato al turismo, ha perso la sua ragione d’essere a causa di obblighi di apertura continuativa e vincoli su safety e security sproporzionati rispetto ai traffici. Con un po’ di innovazione organizzativa e tecnologica, questi poli potrebbero essere competitivi quanto quelli maggiori e risultare rilevanti per l’economia locale.
Tra le proposte discusse di recente, quella di destagionalizzare il turismo. È percorribile?
Rimini era l’emblema del turismo stagionale, ora è un riferimento per comprendere come si può diversificare: sono state realizzate fiere, poli per il fitness e il wellness, si è aperto un canale privilegiato con la Russia. Se ti posizioni su mercati mirati, punti su target innovativi e crei prodotti verticali, puoi essere competitivo tutto l’anno, non solo d’estate.
A dispetto di quanto si affermi, non è così drammatica la situazione delle infrastrutture nel sud Italia. Napoli e Catania negli ultimi anni hanno investito nello sviluppo e diversificazione delle compagnie aeree. Tutte le realtà meridionali hanno migliorato l’offerta per i croceristi che chiedono dozzine di escursioni. Semmai il problema è che nessuna compagnia di navigazione ha scelto come base il sud Italia.
Senza voli, senza crociere e con una rete ferroviaria che grida a gran voce “alta velocità”, le mete di quest’anno saranno tutte vicino casa. Qualcuno lo chiama romanticamente “turismo di prossimità”. Con quali effetti economici?
È innegabile che la difficoltà di spostamento di passeggeri internazionali si tradurrà in un basso coinvolgimento del sud Italia rispetto alla media italiana. I flussi si concentreranno sui grandi laghi del nord, in riviera adriatica, in città come Venezia.
Tutto il comparto soffrirà, ma a macchia di leopardo, con qualche sporadica nota positiva per i piccoli borghi. In generale, più che turismo di prossimità, è un salto indietro all’Italia degli anni Cinquanta.