Condotto in porto

Il trasporto merci via mare non si è fermato a causa del coronavirus, ma ha risentito del calo dei traffici e della chiusura di alcune tratte. Perché la logistica portuale è essenziale per ripartire? La parola agli esperti

La crisi innescata dal coronavirus si è abbattuta come una tempesta, ma da subito abbiamo potuto contare sull’affidabilità dei nostri porti. Sì, perché in Italia il comparto della logistica e della gestione delle infrastrutture portuali non si è mai fermato per garantire gli approvvigionamenti necessari ad andare avanti. Dopo mesi difficili che hanno risentito di una brusca riduzione delle merci movimentate da e verso il nostro Paese, l’obiettivo è quello di accompagnare la ripresa, puntando su investimenti, interventi infrastrutturali e digitalizzazione. Per saperne di più Progetto Manager ha incontrato due esponenti di aziende di primo piano che operano nei porti italiani: Carlo Merli, Ceo di MarterNeri, principale player nazionale nella logistica di prodotti forestali con sedi operative a Livorno e Monfalcone, e Fabrizio Lorenzetti, direttore della Secomar, società leader nei servizi antinquinamento e di trattamento e rifornimento di idrocarburi, operativa presso il porto di Ravenna.

Carlo Merli, Ceo di MarterNeri

Entrambe le aziende hanno continuato a lavorare anche nella fase 1 dell’emergenza coronavirus in ragione delle rispettive attività e soprattutto dei settori industriali di riferimento che non si sono mai fermati. «Allargando l’analisi invece – dichiara Merli – i porti nazionali hanno sofferto non poco l’onda d’urto del coronavirus, dal punto di vista soprattutto delle merci containerizzate che presentano come principali aree di trade Cina e Stati Uniti. Con il rallentamento degli interscambi verso queste aree del mondo la crisi è esplosa e chi opera nel settore contenitori lato porti ha registrato cali anche del 40%, con grande accumulo di container nelle aree di stoccaggio. Tuttavia, i porti hanno sempre cercato di andare avanti, anche a costo di lavorare a una percentuale bassa della propria capacità produttiva. Questo perché per settori capital intensive, come quelli dei terminal portuali, l’impatto dei costi fissi rimane molto alto e quindi, piuttosto che bloccare tutto, si è cercato di tenere accesa una fiammella».

Chi opera nel settore contenitori ha registrato cali anche del 40%, con grande accumulo di container nelle aree di stoccaggio

Fabrizio Lorenzetti, direttore della Secomar

Dal suo osservatorio Lorenzetti registra simili difficoltà anche nel contesto di Ravenna: «Il porto sta scontando un calo del 30% dei traffici. È sempre stato uno scalo importante per cereali, ferro, fertilizzanti e per le argille destinate al distretto di Sassuolo, rinomato per la produzione delle ceramiche. È un porto che interessa principalmente le importazioni e serve rilevanti settori industriali dell’Emilia-Romagna e non solo. Le sofferenze nei volumi dei traffici si sono fatte quindi sentire. Analogo ragionamento vale anche per il settore dei container per cui Ravenna è uno dei principali porti dell’Adriatico.».

E fuori dai porti la situazione è solo leggermente migliore. «A livello di shipping, cioè di spedizioni via mare – sottolinea Merli – in queste settimane si comincia a vedere una tendenza alla ripresa, ma la situazione è ancora decisamente sotto i volumi tipici: le grandi compagnie di navigazione hanno oggi un eccesso di stiva e ricorrono in misura ancora maggiore al cosiddetto slow steaming, fanno cioè andare piano le navi per consumare poco e tenerle impegnate un tempo più lungo in mare». La spinta verso una ripresa effettiva dei flussi commerciali arriverà, secondo il Ceo di MarterNeri, anche «dalla Cina che ha ripreso le attività di export verso l’Europa. Il gigante asiatico è inoltre protagonista di investimenti importanti nei porti italiani – Savona e Trieste solo per citarne due – ed europei, su tutti il caso del porto del Pireo. Tali investimenti devono essere valorizzati, quindi ritengo che cercheranno di compiere ogni sforzo possibile perché le location in cui sono presenti riprendano appieno le attività commerciali».

L’export è naturalmente una carta importante da giocare anche per il made in Italy che, attraverso il trasporto marittimo, vuole salpare nuovamente alla conquista del mondo. Lorenzetti crede fermamente nel «tessuto imprenditoriale italiano che, benché in prevalenza medio-piccolo, sarà capace di adattarsi al mercato, cercando soluzioni che possano eventualmente sopperire anche a una non piena ripresa dei flussi commerciali con la Cina e con i restanti paesi partner. Perché, ricorda, abbiamo già dimostrato la capacità come sistema di posizionarci sui mercati di interlocutori diversi, a partire dagli altri paesi asiatici di primo piano».

Dello stesso avviso anche Merli che ritiene che «l’appetibilità dei prodotti italiani rimanga invariata; il settore del design italiano, ad esempio, non aspetta altro che di veder rimosse le residue restrizioni operative per riaggredire i mercati e per scongiurare la cancellazione degli eventi commerciali in programma. Sono convinto che la qualità dei nostri prodotti d’eccellenza sia “Covid free”, riesca cioè ad andare oltre la crisi se le imprese interessate supereranno le difficoltà economiche e se il sistema logistico sarà in grado di offrire un valido supporto».

E proprio pensando alle prospettive del settore della logistica portuale italiana, il Ceo di MarterNeri vede in atto due tendenze: innanzitutto «la tendenza all’aggregazione, la volontà cioè di creare, attraverso operazioni straordinarie di M&A, aziende di dimensione e collocazione geografica più ampia, capaci di rispondere al mercato con una forza maggiore. Mi aspetto di vedere nei prossimi mesi diverse operazioni in questo senso, con l’obiettivo di creare dei piccoli campioni nazionali nei vari ambiti merceologici serviti dal settore logistico-portuale italiano. Una seconda tendenza, legata alla prima, era percepibile e si confermerà: il mercato dei capitali del private equity e dei fondi infrastrutturali stava infatti già guardando ai settori della logistica e dell’intermodalità come aree promettenti. Credo che, a valle di questo periodo di lockdown, l’interesse possa crescere ulteriormente, visto che potrebbe essere più facile entrare nei capitali delle aziende, attraverso “ticket” meno cari, ma con le stesse opportunità di ritorno degli investimenti».

Infine l’obiettivo avviato dalla fase 2: l’uscita dalla crisi. Gli intervistati concordano sulla necessità per il sistema Paese di accelerare processi da tempo definiti strategici, come lo sviluppo del settore ferroviario di collegamento fra porti e interporti e investimenti su infrastrutture, anche civili, che attendono da anni di essere realizzate.

Per quanto riguarda l’area di Ravenna, Lorenzetti spera che «siano accelerati gli investimenti finalizzati all’approfondimento dei fondali (progetto hub portuale) e che l’intermodalità sia favorita attraverso un potenziamento dei servizi di trasporto ferroviario». E per far comprendere davvero il problema, il direttore di Secomar utilizza un’immagine efficace: «Oggi il treno viene se c’è traffico. È necessario invece che sia la presenza di collegamenti ferroviari a incentivare il traffico merci. Così che questo possa essere accolto su rotaia e agevoli lo sviluppo dell’area portuale e dei diversi punti di collegamento».

È necessario accelerare processi strategici come lo sviluppo del settore ferroviario di collegamento fra porti e interporti, investimenti in infrastrutture e digitalizzazione

Merli auspica infine, come ulteriore intervento strategico, «un sostegno concreto delle istituzioni alla digitalizzazione delle imprese della logistica. Infatti, meglio sono gestiti e comunicati i dati correlati alle merci, maggiore è l’efficienza del nostro settore. Credo che insieme a capacità di investimento e miglioramenti infrastrutturali, una crescente digitalizzazione possa essere la chiave per creare le condizioni di un piccolo new deal del settore della logistica che saprà premiare i territori interessati».

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