Nuova vita al decommissioning

L’89% del materiale derivante dallo smantellamento degli impianti nucleari italiani verrà recuperato e riciclato. Un modello di economia circolare che Sogin sta integrando nella progettazione di tutte le sue attività

Ciò che in passato veniva considerato rifiuto può oggi essere trasformato in una risorsa. Questo è il valore generato dalla transizione verso un’economia circolare che sta avvenendo in diversi settori, fra cui il decommissioning nucleare. Il decommissioning (smantellamento) di un impianto nucleare è, dopo la costruzione e l’esercizio, l’ultima fase del suo ciclo di vita. Si concretizza in una serie di operazioni che, oltre al mantenimento in sicurezza, riguardano: la progettazione dei lavori, l’allontanamento del combustibile nucleare irraggiato, la decontaminazione, la demolizione delle strutture e la gestione dei rifiuti radioattivi.

Nel nostro Paese se ne occupa Sogin, la società pubblica che ha la responsabilità di smantellare gli impianti nucleari e gestire i rifiuti radioattivi, nonché di localizzare, progettare, realizzare e gestire il Deposito nazionale e Parco tecnologico.

Come è possibile “smantellare” e “riciclare” un impianto nucleare? La strategia di economia circolare adottata da Sogin si basa su tre driver, la cui piena implementazione è realizzabile grazie a politiche di green engineering e green public procurement.

Il primo driver è il riutilizzo di strutture, sistemi e componenti già esistenti nell’impianto durante il suo esercizio, per le necessità legate al decommissioning e alla gestione dei rifiuti radioattivi. Un esempio è l’adeguamento di edifici per realizzare aree di stoccaggio temporaneo dei rifiuti radioattivi, come nel caso dell’OPEC-2 nel sito di Casaccia.

Il riciclo dei materiali prodotti dagli smantellamenti è il secondo driver: rame, ferro, calcestruzzo e plastica, una volta separati dai materiali radioattivi, sono destinati a riutilizzo o invio a recupero. Si tratta di quanto accaduto già nel 2013-2014 con lo smantellamento dell’edificio off-gas della centrale di Caorso. Un lavoro che ha prodotto circa 350 tonnellate di materiali metallici destinati a recupero e circa 7 mila tonnellate di calcestruzzo (non radioattivo) che sono state trasformate in materia prima secondaria e anch’esse inviate a recupero. In particolare, parte del calcestruzzo è stata riutilizzata per riempire gli scavi prodotti dallo smantellamento dei sistemi interrati attigui all’edificio. Altro esempio è il recupero dei materiali prodotti dallo smantellamento del turboalternatore della turbina della centrale del Garigliano, terminato nel 2018. Circa 400 tonnellate di materiale sono state allontanate dal sito, di cui il 96% trasferito in centri di recupero e lavorazione, come le fonderie per i metalli, per essere reinserito nel ciclo produttivo.

Nella centrale di Garigliano il decommissioning ha allontanato circa 400 tonnellate di materiale di cui il 96% trasferito ai centri di recupero

Terza leva strategica è la riduzione dell’impatto ambientale attraverso tecniche di decontaminazione e trattamento volte a minimizzare il rifiuto radioattivo e a massimizzare il materiale rilasciabile o idoneo al recupero. Anche nelle varie fasi del processo di approvvigionamento Sogin tiene conto di criteri ambientali e sociali per individuare beni e servizi che riducano l’impatto ambientale e aumentino i benefici sociali lungo tutto il ciclo di vita.

Il risultato di questa strategia è che lo smantellamento delle centrali e degli impianti nucleari italiani permetterà di riciclare oltre un milione di metri cubi di materiale, pari a quasi il 90% dei volumi complessivamente smantellati.

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