I mercati dell’energia sono impazziti

Con i prezzi di gas e altre materie prime alle stelle, è certo che la crisi energetica continuerà. Soprattutto in Europa, dove a obiettivi ambiziosi non corrispondono politiche realistiche in favore delle rinnovabili

Sui recenti aumenti delle materie energetiche abbiamo chiesto il parere di Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia.

Davide Tabarelli, fondatore e presidente di NE- Nomisma Energia

Come si può gestire la dinamica di questo improvviso aumento dei prezzi delle materie prime energetiche proprio ora che l’economia con l’attenuazione dell’emergenza sanitaria mostra una ripresa?

Tenendo le dita incrociate e sperando in un inverno mite. A parte le battute amare, ora è troppo tardi, i mercati sono già impazziti e se non altro occorre capire cosa è successo per provare ad attenuare il colpo. Fa parte di un caos generalizzato che ha investito tanti settori dell’economia mondiale con l’uscita dall’evento più catastrofico, in tempo di pace, che si potesse verificare, una pandemia globale che ha bloccato per un anno tutto il sistema. Un affanno nella ripresa era comprensibile, ma una confusione di questo tipo sorprende. Accade dai chips al legno, dalla logistica ai metalli, dai lavoratori al grano. Ultimamente, in maniera molto violenta, ha investito anche i mercati dell’energia, in particolare del gas in Europa, dove la domanda supera l’offerta e questo ha fatto schizzare i prezzi.

La commissaria Ue all’energia, Kadri Simson, ha detto che i prezzi del gas potrebbero restare alti durante tutto l’inverno e poi scendere in primavera. E dopo? Quali sono le prospettive nel medio lungo termine?

Gli stessi mercati ci dicono che a primavera prossima e nel 2023 le cose dovrebbero tornare alla normalità, ma questo lo dicevamo anche la scorsa primavera, quando i prezzi avevano cominciato a portarsi verso i 30 € per megawattora e si aspettava per agosto di nuovo prezzi a 20 €. Ora siamo in un range di 80 – 110 € per megawattora e la calma sembra ancora lontana. In ogni caso rimarrà una cicatrice nei mercati, perché questi si sono dimostrati poco efficienti nel gestire un calo di offerta che tutto sommato non va oltre il 25% delle scorte. In futuro occorre ripensare alla struttura dei mercati.

In queste settimane è tornato d’attualità il tema dei cambiamenti climatici. Per centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030 del 55%, per poi arrivare a emissioni zero nel 2050, occorrono investimenti pubblici e privati. Entrambi i settori sono pronti ad affrontare l’impegno che li attende?

In realtà non si è mai smesso di parlare del clima, che è diventato il primo obiettivo delle politiche dell’Unione europea ormai da 20 anni, mentre si sono dimenticati gli altri due, quello della sicurezza degli approvvigionamenti e quello della loro economicità. Quanto sta accadendo in queste ore ci dimostra la gravità di avere puntato solo sul clima. Nel 2050 i settori privati e pubblici avranno enormi risorse e saranno pronti per la decarbonizzazione, tuttavia ci sono dei problemi tecnici enormi da superare.

Il clima è diventato il primo tema dell’Unione europea, mentre altri due sembrano dimenticati: quello della sicurezza degli approvvigionamenti e quello della loro economicità

Uno degli obiettivi della Cop26 è trovare soluzioni per contenere l’aumento della temperatura del pianeta entro 1,5 gradi. Tutti sembrano d’accordo, ma questo è conciliabile con le esigenze del sistema produttivo?

È facile essere d’accordo su obiettivi che danno per scontato che sia tecnicamente facile abbandonare i fossili. Se esistessero soluzioni facili a favore delle rinnovabili, come il vento e il sole, al posto delle cose sporche e nere come il carbone e il petrolio, l’economia globale le avrebbe già sfruttate. Sono ormai 50 anni che facciamo politiche per spostarci dai fossili, ma questi contano ancora oggi per l’80% dei consumi, la stessa quota degli anni ’70. È impressionante che pochi si accorgano di questo, mentre tutti acclamano agli ambiziosi obiettivi e poi arriva una ragazzina come Greta e, giustamente, ci dice che non stiamo facendo nulla per raggiungerli. Per forza, sono fuori dalla realtà.

Sono ormai 50 anni che facciamo politiche per spostarci dai fossili, ma rappresentano ancora oggi l’80% dei consumi, la stessa quota degli anni ’70

Ma queste cautele non potrebbero comportare un ritardo nella risposta alla sfida climatica?

Certo che ci sarà un ritardo, meglio, c’è già un ritardo, perché tutti abbiamo dimenticato gli impegni presi con il protocollo di Kyoto del 1997, poi saltato nel 2012 e sostituito solo nel 2015 con il nuovo accordo di Parigi di dicembre. Gli obiettivi che ci siamo posti possono essere raggiunti solo con riduzioni delle emissioni intorno al 10% all’anno. Questo ci è richiesto dagli accordi. Ciò è stato raggiunto solo nel 2020 a causa di una pandemia, ma negli altri anni i consumi di fossili aumentano e così salgono le emissioni. La sfida deve essere messa in termini più realistici, perché non possiamo fare a meno dei fossili, non ci sono le alternative.

Cosa possiamo aspettarci da Glasgow? Si riuscirà a trovare una via percorribile per combattere il cambiamento climatico senza penalizzare l’economia?

A Glasgow, come in tutte le altre 25 riunioni della Conference of the parties (Cop) sarà una sorta di fiera, un evento, una festa, dove si riuniscono tanti organismi internazionali che hanno in comune la certezza che il mondo sta andando verso la catastrofe e vogliono che l’occidente, e a seguire gli altri, abbandonino i fossili, cosa che dicono dalla prima Cop del 1995 di Berlino. Da allora le emissioni globali di CO2 sono salite di quasi il 30% invece di ridursi. 

In una frase cosa si sente di dire a un ragazzo che partecipa ai Friday for future?

Basta una parola: studiare. Devono prendere in mano l’ultimo rapporto dell’Ipcc (Intergovernmental panel climate change) pubblicato nell’agosto del 2021 per cercare di capire cosa sta succedendo con il clima, perché la cosa è estremamente complessa e difficile da capire, il che non vuole dire che non dobbiamo accelerare sull’abbandono dei fossili. Occorre studiare le difficoltà che abbiamo nel fare tutto a rinnovabili, nel soddisfare la domanda da parte di miliardi di persone che hanno bisogno di energia. 

Un’ultima domanda. Secondo lei che influsso potrebbero avere le politiche green sull’andamento dei costi dell’energia nel medio e lungo periodo?

La crisi di questi giorni ci ricorda che in Europa, e soprattutto in Italia, i prezzi rispetto al resto del mondo aumenteranno.

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