Lo Stato siamo noi

Il modello sociale fondato sull’individualismo evidenzia i suoi fallimenti. Ripartiamo allora dall’insegnamento dei padri costituenti, seguendo il principio di uguaglianza come faro del nostro agire

Il più importante articolo della Costituzione italiana, l’art. 3, II comma, dispone che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Bisogna rimuovere quegli ostacoli di ordine economico e sociale, fonti di disuguaglianze, che possono condurre a situazioni di devianza

In un celebre discorso[1] Calamandrei spiegò ai giovani cosa intendesse questo fondamentale articolo: «Dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo». Sino a che ciò non sia garantito, non si potrà parlare né di Repubblica fondata sul lavoro, né tantomeno di Repubblica democratica, vanificando così il dettato del primo articolo della nostra Costituzione.

«[…] Perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale». La stessa Costituzione, norma fondamentale del nostro ordinamento, «dà un giudizio […] un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale […] polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente».

Purtroppo la situazione attuale ancora è lontana dal perseguimento di quanto auspicato da Calamandrei, lo Stato fatica a rimuovere quegli ostacoli di ordine economico e sociale, fonti di disuguaglianze, che possono condurre a situazioni di devianza. E se come dice Calamandrei, lo Stato siamo noi, tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo per apportare quel cambiamento necessario per rendere la nostra Repubblica, una Repubblica realmente democratica, che elimini gli ostacoli che si frappongono al riconoscimento di una uguaglianza di tutti i suoi cittadini e non solo.

Stato che abbia di mira il bene comune. Laddove intendiamo con tale espressione «il vivere retto di tutti, favorito e sostanziato dal varo di nuove istituzioni e regole, di leggi giuste, di un welfare ripensato come sistema più vicino alle persone»[2]. Il bene comune richiama l’inclusione di tutti. Esso «comprende […] la necessaria e metodica ricerca di mezzi e di istituzioni, di nuovi assetti nei rapporti tra Stato, società civile e mercato, di politiche attive del lavoro, di politiche a sostegno della famiglia considerata come nucleo intero, di politiche di sviluppo qualitativo e sostenibile[..] Ma in tutto questo, l’azione dei singoli e dei popoli deve essere sorretta e animata da un impegno costante alla luce di un’immagine integrale del bene umano, da una solidarietà universale, da relazioni interpersonali positive, che comportano libertà e responsabilità, sussidiarietà, atteggiamenti di collaborazione e di servizio all’altro»[3]. Il principio di uguaglianza richiama non un’uguaglianza “di fronte” alla legge, ma un’uguaglianza “nella” legge, collegata al più alto e nobile valore di giustizia. «Una legge è giusta non solo perché è egualitaria ma anche perché è conforme a una legge superiore […] l’instaurazione di una certa eguaglianza tra le parti e il rispetto della legalità sono le due condizioni per l’instaurazione e la conservazione dell’ordine e dell’armonia del tutto che è […] il sommo bene»[4].

Si ha ingiustizia sia quando la legge sia inosservata, ma anche quando vi sia un’alterazione dei rapporti di uguaglianza tra le persone.

Sarebbe auspicabile un intervento dello Stato affinché situazioni caratterizzate da mancanze dal punto di vista economico e sociale siano affrontate con strumenti più adeguati; è necessaria una maggiore presenza delle istituzioni a sostegno delle categorie più fragili e un contributo di tutti i cittadini per uscire finalmente dalla logica dell’individualismo, da un relativismo che porta a pensare solo ai propri interessi per aprirsi invece a una cultura del noi.

Altrimenti nei contesti ove sia più forte il disagio di varia natura, si presterà il fianco a fenomeni di devianza criminale e si potrà cadere facilmente preda delle organizzazioni criminali che si propongono come una sorta di Stato alternativo.

È necessario fare il possibile affinché venga istituito un ordine o restituito, laddove turbato, per ristabilire un’armonia, perché tutto è connesso.

È necessario che siano garantite a tutti sia un’uguaglianza formale, cioè di fronte alla legge (o meglio “nelle legge”), ma anche un’uguaglianza materiale, ossia rispetto ai beni materiali o economica, oltre a un’uguaglianza delle opportunità o sociale, che metta tutti nella condizione «di partecipare alla gara della vita»[5].

Ad ognuno di noi, cittadini o uomini delle istituzioni, spetta il proprio contributo per ristabilire l’armonia perduta.

[1] Discorso pronunciato da Piero Calamandrei a Milano, il 26 gennaio 1955, in occasione dell’inaugurazione di un ciclo di conferenze sulla Costituzione organizzato da un gruppo di studenti.

[2] AA.VV. Alla ricerca del bene comune, Las Roma, 2008, p. 19-20.

[3] Ibidem, p. 19.

[4] N. Bobbio, Eguaglianza e libertà, Einaudi, p. 7.

[5] Ibidem, p. 26.

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