London calling, o forse no

Progetto Manager incontra due giovani donne manager che vivono e lavorano a Londra. Dal loro racconto, la sensazione che il rapporto tra europei e britannici sia oramai in bilico

“London calling”, cantavano i Clash. Ma la City richiama ancora l’attenzione dei giovani lavoratori? Sforna ancora i manager di domani?

Se andiamo sul sito dell’ambasciata d’Italia a Londra, ci renderemo conto, nel tempo di un clic, di come una forte domanda di informazioni e assistenza sia tuttora in atto.

Diversi sono i comunicati stampa, i link ai webinar o ai meeting online per fare il punto della situazione, relativamente ai progetti per la promozione economica e culturale e allo stato delle relazioni politiche e industriali.

Vengono toccate anche altre tematiche, come quella relativa al commercio post Brexit per le Pmi italiane, in cui viene precisato come il rischio di dazi e tariffe sia stato scongiurato. Guardando, invece, al futuro commerciale italiano oltremanica, a parte i settori dove da sempre il Belpaese primeggia, dall’agroalimentare al design, passando per la moda e il comparto meccanico, vengono indicati i settori emergenti dell’economia verde. Questi si identificano nella riqualificazione energetica e infrastrutturale in Uk, nella ricerca e nell’innovazione tecnologica, tutti ambiti che offrono opportunità per l’Italia.

Ma perché ne stiamo parlando? Per ricordarci che nella City la maggior parte dei lavoratori proviene da tutto il mondo, compresa l’Italia. Ormai quasi tutti gli italiani che sono rimasti a Londra hanno la residenza o un visto per lavorare lì.

Come stanno vivendo questo momento? Quali sono le prospettive di un giovane manager italiano che lavora nella (ex) capitale della finanza, ma ancora la capitale dei sogni di molti di noi, che da lì sono passati per lavoro, per studio, o perché hanno semplicemente desiderato percorrere l’Abbey Road dei Beatles?

Parliamo di questo con Sara Alice Recalcati, head of affiliates & e-commerce presso le testate The Independent e Evening Standard.

Recalcati ci spiega come, lavorando nell’ambito dell’e-commerce e del performance marketing per due tra i più famosi giornali britannici, gli effetti della Brexit sul suo lavoro siano al momento contenuti.

Parlando invece di cambiamenti di portata superiore, la giovane manager racconta: «Ho riscontrato delle grandi differenze proprio a ridosso del referendum del 2016. I brand, presi dall’incertezza, erano restii a spendere per vedere cosa avrebbe portato la Brexit. Avendo a che fare con piccole e grandi aziende che operano in diversi settori chiave dell’economia, posso dire che il commercio online sta vivendo un momento d’oro, ma siamo anche consapevoli che, passata l’emergenza sanitaria, dovremo fare i conti con la Brexit che ha e avrà un impatto su molte aziende sia a livello doganale e fiscale sia dal punto di vista delle assunzioni di forza lavoro qualificata».

La Gran Bretagna darà seguito alle promesse fatte negli ultimi cinque anni, riguardanti più opportunità e ricchezza economica?

Se invece vogliamo fare luce su un aspetto più personale, ovvero quello relativo alla vita di un manager a inizio carriera, ci renderemo conto di come, se da un lato l’ottenimento dei permessi per rimanere nel Paese risulti ora abbastanza semplice grazie all’uso della tecnologia fatto dal governo, dall’altro rimane viva la sensazione di un rapporto quasi compromesso tra l’Europa e i vicini di casa d’oltremanica.

Di simile opinione è Chiara Zahira, account manager per la nota società di eventi internazionali Ted Experience. Zahira specifica come, nonostante l’ottimo lavoro portato avanti dal major di Londra, Sadiq Khan, la convivenza tra britannici ed europei non sia più come prima. Per entrambi, è ancora evidente l’impatto della pandemia sul lavoro, pertanto le conseguenze della Brexit stanno tardando a essere del tutto manifeste.

Se guardiamo al futuro, secondo Recalcati, è fondamentale archiviare l’emergenza sanitaria e porsi delle domande, che al momento restano aperte e non sono più rinviabili: «Qual è il ruolo della Gran Bretagna nel sistema economico globale? Come darà seguito alle promesse fatte negli ultimi cinque anni, riguardanti più opportunità e ricchezza economica? Anche se non vogliamo dare una connotazione politica al futuro, è necessario riflettere su come garantire lo stesso livello di qualità della vita goduto sino ad ora».

Infine, l’intervistata sottolinea come le opportunità lavorative nel terzo settore siano ancora ampie, nonostante l’accesso sia ora vincolato da più regolamentazioni e quindi più complesso per i non residenti.

Ad ora, ciò che sappiamo è che il principale meccanismo di reazione di Londra per affrontare la minaccia della Brexit, soprattutto per quanto riguarda il business dei servizi finanziari, è quello di contenere la perdita di posti di lavoro e investimenti.

Sembra, infatti, che circa 7.500 posti di lavoro siano stati trasferiti nell’Ue, ma è nulla rispetto all’esodo originariamente annunciato. Certo, nel settore finanziario le ricadute sono evidenti: i posti di lavoro si sono quasi dimezzati nel 2020, ma questo ha molto a che fare con il Covid-19.

Londra smetterà di essere il primo centro finanziario e polo lavorativo multiculturale d’Europa? La formazione di molti giovani manager del mondo passerà ancora da lì? Staremo a vedere.

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