Il richiamo di Bruxelles sui nostri conti? Atto dovuto

La legge di bilancio è all’esame del Parlamento: la parola passa quindi alla politica per le valutazioni nel merito e gli aggiustamenti del caso. Ma non è semplice dipanare il filo logico di un percorso di crescita e sviluppo, dalla matassa delle polemiche e delle letture contrastanti dei provvedimenti annunciati. Senza dimenticare la diatriba con la Commissione Ue sugli scostamenti fra quanto annunciato e quanto proposto.

In particolare la ‘lente’ di Bruxelles si sofferma sulle misure ‘una tantum’ considerandole eccessive: 3 miliardi dalla ‘rottamazione’ delle cartelle esattoriali; 2,5 dal recupero della evasione dell’Iva, 1,6 miliardi dalla nuova voluntary disclosure estesa al contante e circa altri 2 dal rinnovo delle concessioni di telefonia Gsm, con passaggio al 5G.  E tutto questo ‘pacchetto’ non va visto come un incasso globale (più o meno certo) destinato agli investimenti, ma come una soluzione rivolta a evitare l’aumento dell’Iva e delle accise.

Almeno in previsione dei bilanci 2018 e 2019, visto che per il 2017 si è optato per la strada (più corretta) dei tagli di spesa. In linea con la nuova legge di bilancio, infatti, in caso di minori entrate si procederà con il definanziamento di spese in corso con un decreto del Mef e un decreto della presidenza del Consiglio a compensazione. Stesso discorso per le aste delle frequenze, per le quali viene quantificato un introito di 2 miliardi di euro. Se questo sarà inferiore il Mef provvederà a tagliare di un importo corrispondente gli stanziamenti al Mise, il ministero proponente.

Per la verità, ai rilievi posti dalla Commissione Ue fa da contrappeso la lettera inviata dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ai commissari europei, secondo la quale il divario tra il target 2017 rispetto al programma di stabilità 2016 “è ampiamente spiegato dalle spese straordinarie relative a immigrazione e rischi sismici”. In pratica la tesi sostenuta con convinzione dal governo italiano è che sia legittimo escludere dai vincoli del deficit le spese sostenute per terremoto e migranti: la deviazione del saldo strutturale rispetto agli impegni assunti in primavera coincide proprio con tali costi.

I costi di assistenza ai migranti oscillano, secondo il ministero dell’Economia, tra 3,8 e 4,2 miliardi. La spesa per il sisma era valutata in 2,8 miliardi secondo stime precedenti all’ultimo terremoto, a cui bisogna aggiungere gli oneri per la messa in sicurezza di oltre 40.000 scuole. La Commissione deve esprimere un’opinione ufficiale entro fine novembre.

Resta da notare una certa frizione fra alcune analisi elaborate da terzi sull’andamento dei conti pubblici previsto dalla legge di bilancio. Ad esempio, il centro studi di Unimpresa annuncia l’arrivo di una vera e propria ‘stangata’ fiscale: “Tra il 2017 e il 2019 le tasse cresceranno costantemente, passando dai 493 miliardi del 2016 ai 505 miliardi del 2017, ai 518 miliardi del 2018 e ai 530 miliardi del 2019.

La pressione fiscale si attesterà per tutto il triennio in esame al 42,2% superiore al 42,1% dell’anno in corso”. Mentre per il Centro Studi di Confindustria “la Legge di Bilancio fornisce un buon impulso, ricorrendo a maggior deficit e facendo potentemente leva sugli investimenti privati (oltre che rimpinguando quelli pubblici).

Il governo valuta in 0,4 punti percentuali la crescita addizionale; ma – rileva il CsC – potrebbe essere maggiore se i sostegni fiscali generassero acquisti di macchinari e impianti aggiuntivi, come i nuovi giudizi sugli ordini suggeriscono.

Rimangono l’incognita dell’esito del referendum costituzionale e la partita aperta del credito bancario alle imprese: le condizioni di erogazione rimangono molto strette e l’ammontare dei prestiti continua a diminuire”. Un problema, quest’ultimo, su cui si è fatta sentire anche la voce della Confapi. Insomma se la Legge di Bilancio riuscirà a superare il confronto parlamentare e sopravvivrà alle analisi a volte contrastanti degli economisti, potrebbe presto essere misurata sul campo in quanto a capacità di rimettere in moto gli investimenti industriali.

Corroborata, non va dimenticato, dall’offensiva sferrata dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, con il pacchetto di Industria 4.0. Resta, quindi, lo ‘scoglio’ comunitario. Ma sembra difficile prevedere una bocciatura netta da Bruxelles, viste le evidenze portate da Roma su migranti e terremoto. L’Ue, inoltre, non può trascurare che il 2017 sarà un anno segnato dalle elezioni politiche in Francia e in Germania. Tutti fatti che riporteranno la lettera di richiamo di Bruxelles nei suoi canoni, normali, di ‘atto dovuto’, peraltro in uno scenario che coinvolge altri Paesi comunitari in cui la missiva non ha certo costituito terreno di aspre polemiche politiche quali quelle di casa nostra.

Dunque sì dalla commissione Ue, sì dal Parlamento italiano e tutti al lavoro. Con una sola, vera incognita. Quella del referendum costituzionale e delle sorti del Governo Renzi.

Antonio Lucaroni,  Vice direttore AGI