Dopo Genova, tra sicurezza e responsabilità

Le infrastrutture modellano il territorio, assicurano la mobilità, consentono di abitare, rispondono a esigenze sociali ad esempio con scuole e ospedali. Hanno un impatto rilevante perché la maggior parte delle popolazioni tende a vivere nelle città.

Le megalopoli con più di 10 milioni di abitanti oggi sono poco più di 12 e saranno più di 40 nel 2025. Le 20 città più ricche del mondo già ospitano ai nostri giorni il 75% delle maggiori aziende e la più alta concentrazione di risorse economiche ed intellettuali. 

Dunque: le infrastrutture ci fanno interagire con il resto del pianeta, e materializzano la connettività per i flussi materiali e immateriali.

Ma è evidente l’impossibilità di provvedere con ritmi simili a quelli dell’innovazione alla loro sostituzione tempestiva e generalizzata per renderle continuamente adeguate all’evoluzione tecnologica.

La manutenzione è essenziale per preservarle in tempi medio-lunghi ai giusti livelli di efficienza e sicurezza, adattandole con continuità.

Agli inizi del 2018, i  Professori D. Laise e G. Martino con l’articolo “Economia della Manutenzione” uscito su MM – la rivista on line del CNIM  Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione  hanno messo un punto fermo sul fatto che “…le attività di manutenzione di un’opera pubblica infrastrutturale (ponte, strada, ecc..) devono essere intese come un “investimento” di natura tecnico economica.”

In questo quadro il nostro sistema Paese deve prendere atto che le manutenzioni dell’esistente rappresentano una componente importante nell’economia, anche perché – indipendentemente dalla collocazione delle spese relative nelle poste di Bilancio – determinano in modo consistente la misura del PIL.

In Italia, purtroppo, vige ancora l’idea riduttiva che fa percepire la manutenzione solo come un costo.

È in questo quadro che si può ragionare sul crollo del Ponte Morandi, che colpisce Genova, ma che interessa la connettività dei flussi dell’intero Nord Italia in rapporto all’Europa, e che – in assenza di una visione strategica – rischia di favorire la concorrenza internazionale contro il settore delle Costruzioni italiane e quello delle nostre società di Engineering nel mondo.

Peraltro il tema infrastrutture/connettività è materia non solo di politica economica, ma anche di Sicurezza per la società.

Deve esistere coerenza tra le responsabilità della gestione, l’esercizio delle competenze manageriali e l’innovazione tecnologica, che va gestita verificando continuamente la congruità tra i le ipotesi iniziali dei progetti per le infrastrutture e le realtà attuali.

Le politiche di manutenzione conseguenti rappresentano – così – la misura della capacità del Sistema Paese di stare al passo con i tempi, di garantire sicurezza e benessere ai cittadini, di saper guardare al futuro.

Quindi i necessari approfondimenti sul Ponte Morandi devono chiarire bene e superare subito gli aspetti tecnici e tecnologici trascurando eventuali scelte marginali, per non perdere di vista il valore sistemico di quella infrastruttura. Ad esempio, potrebbe essere questa l’occasione per valutare la fattibilità della patrimonializzazione della viabilità nazionale nel Bilancio dello Stato?

In più le imprese che operano nell’ambito della componentistica o delle opere specialistiche per la manutenzione rappresentano una parte importante delle PMI, numericamente e per la qualità dell’innovazione nei settori economici collegati, quali ad esempio meccanica, chimica fine, cementi, logistica.

Come poter valorizzare queste aziende indirizzandole verso l’economia circolare?

Sicurezza e Responsabilità

Nelle infrastrutture e nella loro manutenzione sono insite responsabilità e rischi sia delle imprese concessionarie della loro gestione sia della professione manageriale, ma anche la Sicurezza dei cittadini.

Per questo è necessario sottolineare che le norme “tecniche” portano a individuare responsabilità “probabilistiche”.

Peraltro negli ultimi anni si è radicato un dibattito sulla reale possibilità di norme con una attenzione a responsabilità “deterministiche”.

In effetti l’idea di “livello di sicurezza” è insita nei requisiti minimi di dimensionamento delle opere e dei loro processi di realizzazione, ma risente dell’incertezza sulla entità delle azioni temute, e i rischi – schematicamente – o sono generati da eventi naturali o sono collegati con l’azione dell’uomo.

Quelli generati da eventi naturali – vedi alluvioni o terremoti – hanno frequenza e forza aleatorie, valutate con analisi probabilistiche; l’idea di sicurezza si collega a quella di rischio residuo.

Quelli collegati all’azione dell’uomo hanno una frequenza legata alla capacità organizzativa/gestionale e portano alle responsabilità specifiche del management.

Alcuni livelli di sicurezza potrebbero essere di tipo deterministico, anche se non sarebbe eliminabile un pur minimo rischio residuo, che il contesto sociale deve comunque percepire come “accettabile”.

Questo aiuta a comprendere il valore sociale delle norme. Quindi, se la gestione organizzativa riassume tutti i rischi dei processi produttivi, le parti sociali più qualificate e interessate potrebbero collaborare per:

  • diffondere le pratiche dei controlli e valorizzare la manutenzione;
  • individuare chiaramente le responsabilità personali, funzionali e diffuse nei processi di realizzazione;
  • definire i limiti del rischio gestionale e delle responsabilità per i vertici aziendali e il management;
  • assicurare che il rispetto pieno delle norme da parte delle funzioni responsabili esime da faticose dimostrazioni esplicative in sede di giudizio.

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*Componente Giunta  Federmanager e   Vice Presidente  Federazione Europea  Manager delle Costruzioni

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