Federico Testa: ecco la ricerca che il mondo ci invidia

“O il nostro Paese investe nel campo delle eccellenze puntando a questo genere di risultati, oppure restiamo al palo”. Investimenti, ricerca e capacità di “fare sistema” fra pubblico e privato.

E’ questa la ricetta, secondo il presidente di Enea Federico Testa, che sta dietro alla scelta dell’Italia per la realizzazione del “Divertor tokamak test facility” (DTT), il grande laboratorio di ricerca inserito nei progetti internazionali sulla fusione nucleare.

Cinquecento milioni di investimenti pubblici e privati con un ritorno stimato di 2 miliardi di euro, un indotto pari a 1500 posti di lavoro diretti e collegati che permetteranno la realizzazione dell’opera nell’area di Frascati con inizio dei lavori previsto entro il 30 novembre 2018.

Professore, cosa significa per l’Italia la scelta di realizzare nel nostro Paese il DTT?

“Riuscire a portare in Italia un laboratorio di quel genere è il riconoscimento al lavoro fatto in tutti questi anni dai nostri scienziati per acquisire posizioni di assoluta primazia a livello mondiale su alcune tematiche.

L’Italia è sempre stata all’avanguardia sui temi fusione, nucleare e ricerca ma va sottolineato che negli ultimi anni siamo stati capaci di far lavorare insieme ricerca e mondo delle imprese per costruire eccellenze spesso poco note ai più.

Penso ad esempio ai magneti superconduttivi, che rappresentano sì uno dei punti centrali per il funzionamento di un tokamak, ma che hanno ricadute in ambiti anche molto diversi.

Questo siamo riusciti a farlo mettendo insieme le capacità di Enea e imprese, spesso medio piccole, che hanno scommesso sulle tecnologie. Penso ad esempio a due aziende, una in Toscana e una in Piemonte, che insieme ad Enea realizzano i cavi superconduttivi migliori al mondo.

Oppure penso alla famiglia Malacalza che ha rilevato la ex Sangiorgio di La Spezia, dove un tempo si producevano elettrodomestici ed ora  si realizzano i magneti superconduttivi che l’Italia vende in tutto il pianeta.

Queste sono eccellenze in cui facciamo frontiera tecnologica che tutto il mondo ci invidia e ci compra. Esiste un esempio migliore di trasferimento tecnologico e contaminazione fra ricerca, Pmi e imprese più grandi?”

Ricerca università, imprenditoria e settore pubblico. E’ un modello di sviluppo virtuoso che ritiene sia stato sufficientemente compreso anche in settori imprenditoriali?

“Innanzitutto dobbiamo ricordarci di non considerare importanti soltanto quelle applicazioni che hanno immediate ricadute operative, perché sappiamo che c’è bisogno anche di una ricerca che lavori libera sulle frontiere tecnologiche.

Però dall’altro lato esiste un tema relativo alla capacità di trovare un connubio fra ricerca e impresa. Io vengo dal mondo accademico e l’università spesso fatica a comprendere questa esigenza di lavoro in sinergia. Ho scoperto invece che Enea è un luogo dove esiste grande consapevolezza e impegno sulla necessità che la ricerca trovi applicazione, venga trasferita e produca anche risultati operativi.

Per fare solo un esempio, stiamo aprendo due laboratori in Lombardia: uno dentro al “Kilometro Rosso”, il polo privato dell’innovazione che ospita fra gli altri Brembo, Italcementi e Istituto Mario Negri, in collaborazione con l’università di Bergamo, e l’altro insieme al consorzio universitario e all’ateneo di Brescia.

Con esperienze di questo tipo costruiamo le competenze necessarie proprio nei territori che presentano esigenze industriali, e lo facciamo con le università attraverso il cofinanziamento di borse per dottorati di ricerca”.

La realizzazione della “Divertor tokamak test facility” a Frascati rappresenta anche una importantissima occasione di sviluppo per l’intero settore. E non soltanto in termini di impatto occupazionale.

“La cosa più bella di quando si fa ricerca a questi livelli è che tutto il tuo lavoro è finalizzato ad una cosa specifica. La DTT serve per avere energia sostanzialmente illimitata e senza ricadute ambientali.

Però costruire la DTT significa realizzare un cilindro ipertecnologico dentro il quale verrà alimentato un plasma a 150 milioni di gradi, ossia la temperatura del sole.

A confinarlo al centro di questa particolare ciambella, impedendogli di arrivare a contatto con le pareti, saranno dei magneti superconduttivi criogenici, posti a distanza di un metro, che funzionano a -269 gradi.

Lo sforzo di progettazione di un simile apparato, però, ha ricadute assolutamente trasversali sui sistemi produttivi: penso ad esempio allo studio di nuovi materiali e alla loro realizzazione.

Ecco qual è l’importanza di avere un simile laboratorio, attorno ad una struttura così nascono eccellenze, start up e tutte quelle competenze che servono per consentire il salto tecnologico ad un sistema industriale. D’altra parte il nostro Paese o compete sul campo delle eccellenze investendo su questi strumenti o resta al palo”.

Ma la partecipazione italiana ai consorzi internazionali per la ricerca sulla fusione nucleare rappresenta un’occasione importantissima per molte aziende del nostro paese. Che ruolo ha rivestito l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile? E con quali risultati?

“Pensiamo al progetto mondiale di ricerca sulla fusione nucleare per cui a Cadarache nel sud della Francia si sta costruendo un impianto. L’Italia partecipa per una quota vicina all’8% ma al momento dell’assegnazione delle commesse europee ci siamo aggiudicati una quota pari al 64% di quelle tecnologiche.

Questa è la certificazione della qualità del lavoro delle nostre imprese e del successo del “sistema” che siamo riusciti a costruire assieme a loro. Ai tempi promuovemmo un convegno all’Università di Castellanza dove c’erano tutte queste piccole e medie imprese che da sole non sarebbero mai riuscite a competere per quei bandi”.

*   giornalista