Genova non è morta con il suo ponte

Il Morandi era uno dei simboli di Genova e il suo crollo è stato un vulnus gravissimo per una città con tanti problemi di accessibilità. Il commento di Paolo Filauro, presidente Federmanager Liguria

Ponte: cosa è? Per il Vocabolario Treccani, ponte è un manufatto di legno, di ferro, di muratura o di cemento armato che serve per assicurare la continuità del corpo stradale o ferroviario nell’attraversamento di un corso d’acqua, di un braccio di mare, o di un profondo avvallamento del terreno.

Il ponte ha sempre affascinato l’uomo: la possibilità di superare, con l’opera del proprio ingegno, gli ostacoli frapposti dalla natura, ha creato nei millenni una vera e propria scienza (pensiamo alla École nationale des ponts et chaussées di Parigi) e ha permesso la realizzazione di strutture che spesso sono (o erano) vere e proprie opere d’arte.

Ma il ponte non è solo questo: è spesso un simbolo, un’icona di un sito o una città. Questo era per noi genovesi il Ponte sulla Valpolcevera, il Morandi, come lo abbiamo sempre chiamato, tragicamente crollato in un giorno di violenta pioggia, alle 11 e 36 del mattino del 14 Agosto (un mese dopo, alla stessa ora splendeva un caldo sole settembrino).

Il Morandi è stato, lungo i 51 anni di vita, uno dei simboli di Genova: accanto alla Lanterna (lì da 900 anni) esso costituiva uno dei punti di riferimento per chi vive o transitava per la Città. Quante volte lo abbiamo visto, in tutta la sua imponenza, arrivando a Genova, in aereo, per nave, in treno o in macchina, e sempre ci dicevamo: “siamo a casa!”. Quanto volte lo abbiamo attraversato, per andare a lavorare: per chi veniva da levante era la strada più veloce e semplice per raggiungere il ponente, dove si trovano i maggiori agglomerati industriali della città. Chi scrive l’ha utilizzato decine di migliaia di volte, nel corso della vita non solo lavorativa.

Inaugurato nel settembre 1967, dopo 4 anni di lavori, il viadotto Polcevera rappresenta una pietra miliare nella storia delle autostrade italiane, sia per la complessità della soluzione tecnica, sia per l’elevato risultato estetico.

Si trattava di un compito arduo, data la quasi totale occupazione del suolo sotto il viadotto: esso venne brillantemente risolto con una raffinata struttura a due campate principali (lato est), sorrette da tre alti piloni e tiranti in calcestruzzo armato, cui seguivano verso ovest ulteriori campate minori tradizionali.

Due le particolarità strutturali di questo ponte: gli stralli, che a differenza di quanto avviene per i ponti in acciaio non formavano un ventaglio o un’arpa, erano solo una coppia per lato e erano realizzati in calcestruzzo armato precompresso; le modalità di realizzazione dell’impalcato (la parte che sosteneva direttamente il piano viabile) in calcestruzzo armato precompresso, secondo un brevetto ideato dallo stesso Morandi.

In tal modo si era risolto un problema assai complesso e si era costruito non solo il collegamento tra due parti della città, ma anche e soprattutto un asse viario fondamentale per i commerci tra Italia e Francia, tra Nord e Sud del nostro Paese, attraversato giornalmente da decine di migliaia di veicoli, prevalentemente TIR e mezzi pesanti (per le cui dimensioni odierne, tra l’altro, il ponte non era stato pensato, 51 anni fa).

Il 14 agosto la parte centrale, un pilone e 250 metri di impalcato, è crollata, trascinando con sé le automobili in transito: bilancio tragico di 43 morti (due bambini), comprese le vittime che si trovavano in quel momento sotto la struttura.

Il perché lo dovrà scoprire la magistratura, ma già da molto tempo si erano levate voci preoccupate sulle pesanti criticità di una struttura sollecitata abnormemente sia dai volumi e tipologie di traffico (non previste a progetto) sia dalle condizioni ambientali in cui si trovava (sottovalutate), quali la salinità dell’aria proveniente dal vicino mare. La mancanza di una adeguata manutenzione ordinaria e straordinaria (l’ultimo vero intervento è dei primi anni ’90) ha fatto il resto.

Il crollo del Morandi è stato un vulnus gravissimo per una città con mille problemi, compresa la difficile accessibilità: ci siamo sentiti feriti nella nostra genovesità, nel nostro attaccamento alla nostra Genova (nonostante tutto), nel dolore per le 43 vittime, nelle difficoltà per chi ha perso la casa trovatasi, perché costruita prima, sotto il Ponte.

Lo dovranno ricostruire e presto: c’è un progetto, regalato da Renzo Piano alla città, con una valenza anche artistica di grande rilievo, ci sono le capacità, a Genova, per realizzarlo, ci sono i fondi (di Autostrade). Esiste una forte determinazione di tutti i genovesi, a partire dalle istituzioni, Regione e Comune, per risalire partendo proprio dal nuovo ponte. Nessuna divisione politica a livello governativo potrà fermarci: non lo permetteremo.

Esiste una forte determinazione di tutti i genovesi, a partire dalle istituzioni, per “risalire” iniziando proprio dal nuovo ponte

Anche noi di Federmanager Liguria (e nazionale) abbiamo dato la nostra disponibilità a contribuire alla risalita con le nostre capacità tecniche e manageriali.

Genova non è morta con il suo ponte: è sempre lì, con le sue bellezze e le sue peculiarità, le sue industrie e il suo turismo, magari un po’ più difficile da raggiungere (temporaneamente), ma sempre pronta ad accogliere chi vuole venire per vederla o per lavoro. Vi aspettiamo!

*   Presidente Federmanager Asdai Liguria

 

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