Il sogno interrotto del modello sociale europeo

All’indomani dell’esito, a quanto pare inaspettato, del referendum nel Regno Unito, abbiamo provveduto come CEC European Managers (Confederazione europea dei dirigenti) a prendere posizione attraverso un messaggio in cui evidenziavamo, in qualità di organizzazione europea, il nostro dispiacere per la pur legittima decisione degli elettori britannici.

Non siamo entrati nel merito delle possibili conseguenze economiche e finanziarie di una decisione i cui effetti si spalmeranno nel lungo periodo, quanto piuttosto sulle conseguenze politiche.

Al di là di molteplici letture dell’evento risulta chiaro a molti che si è manifestata una repulsione rispetto alle politiche europee sin qui condotte, facendo altresì emergere aspetti di egoismo che si stanno intensificando anche in altre parti dell’Europa.

Se infatti i padri fondatori dell’Europa Unita intendevano, oltre a porre fine a possibilità di scontri bellici, creare un modello di solidarietà attiva tra le nazioni, da tempo si è invalso, anche attraverso le più recenti entry, un concetto secondo cui si aderisce ad una compagine più per ricavarne benefici, ancorché partecipare ad una azione corale e solidale.

Personalmente non sono nuovo a questo tipo di comportamento se considero che anche nella nostra modesta organizzazione alcune associazioni nazionali rivendicano una sorta di pay back derivante dall’appartenenza prima ancora di proporre il proprio contributo allo sviluppo della Confederazione.

E’ quindi giunta l’ora di passare da una unione incentrata su norme esclusivamente monetarie, finanziarie e budgetarie, ad una Europa della solidarietà, della crescita, dello sviluppo, delle effettive politiche di immigrazione, di contrasto alla povertà, di effettiva applicazione di sistemi democratici. In altre parole la messa in atto del modello sociale europeo.

Dopo di che occorrerà attivare una politica estera europea effettivamente univoca, il bilanciamento dei sistemi fiscali, la politica di difesa, nonché tutte le attività necessarie ed indispensabili per una reale integrazione.

Noi dirigenti siamo per definizione coloro che guardano al futuro e riescono a tradurre i problemi in opportunità.

Certo, andremo incontro ad un lungo periodo di incertezza, le borse si comporteranno come la giostra delle montagne russe, gli investitori si prenderanno le necessarie pause di riflessione, gli inglesi si scanneranno tra di loro, altri Paesi saranno tentati di sfruttare il momento anche in termini strumentali, tutte cose già viste.

Ma se i nostri governanti, a cominciare dai paesi fondatori quali Germania, Francia ed Italia, sapranno finalmente porre fine a dibattiti inconcludenti, se le istituzioni europee non si appelleranno più a burocrazie da far invidia a quelle borboniche, se invece di attendere che i più lenti salgano sul vagone treno, ritardando l’intero convoglio, si sapranno anche attivare velocità diverse, allora si potrà porre fine allo stallo ed alle esperienze negative.

E noi dirigenti abbiamo il dovere, appunto come classe dirigente, prima ancora che come attori nelle nostre aziende, di agire come cittadini per instillare la consapevolezza che non c’è alternativa per nessun Paese al di fuori dell’Europa. Così come nessun dirigente può avere successo professionale senza il supporto ed il coinvolgimento delle risorse attorno a sé.

Luigi Caprioglio

Segretario Generale CEC European Managers