Ora la BCE è davanti al bivio

Il 2017 potrebbe essere l’anno decisivo per l’Europa anche dal punto di vista delle scelte di politiche monetarie. Per la prima volta dal 2013, infatti, l’Eurozona ha raggiunto il target dell’inflazione del 2 per cento, obiettivo perseguito dalla politica monetaria ultra espansiva del governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi.

Nella riunione dello scorso 9 marzo, Draghi ha spiegato che la ripresa “sembra guadagnare spinta” e l’inflazione nominale è di nuovo aumentata per i prezzi energetici e alimentari ma “l’inflazione di base continua a essere debole” ed è per questo motivo che la Bce ha deciso di lasciare i tassi di interesse invariati e fermi a zero, come da molti previsto, perché nell’Eurozona permangono rischi al ribasso sull’economia, anche se meno pronunciati rispetto al passato.

Sulla base di queste considerazioni la Bce ha deciso di confermare il Quantitative Easing, ovvero il piano di acquisto di titoli pubblici nell’Eurozona iniziato a marzo del 2015, proseguendo a un ritmo di 80 miliardi fino a fine marzo per poi ridurli a 60 miliardi per tutto il 2017 o anche oltre se necessario.

Infatti hanno spiegato da Francoforte “se le prospettive diventeranno meno favorevoli o se le condizioni finanziarie risulteranno incoerenti con ulteriori progressi verso un aggiustamento durevole del profilo dell’inflazione, il Consiglio direttivo è pronto a incrementare il programma in termini di entità e/o durata”.

È vero che l’obiettivo del Quantitative Easing non si riferisce al dato di un singolo mese, ma alla media di un periodo più lungo, circa 18-24 mesi, ma è altrettanto vero che il dato di febbraio non potrà essere ignorato, soprattutto se segnerà l’inizio di un periodo di inflazione stabile al 2%.

Come già specificato dal numero uno dell’Eurotower, una delle condizioni che si deve verificare per l’inflazione prima che la Bce possa ridurre la propria politica monetaria ultra-espansiva è che sia “a medio lungo termine, durevole, sostenibile e diffusa nell’intera Eurozona”. La politica monetaria accomodante ha certamente effetti collaterali che vanno tenuti sotto osservazione e che nel tempo possono avere effetti cumulativi negativi.

Finora, però, i tassi d’interesse bassi e gli acquisti di titoli sui mercati hanno avuto effetti generalmente positivi all’interno della zona Euro. Viene però da chiedersi: per quanto tempo Mario Draghi riuscirà a tenere a bada i “falchi” tedeschi che chiedono una cessazione quanto prima della politica monetaria espansiva dell’Eurotower?

Nel frattempo l’Italia ha fatto segnare un balzo in avanti sull’accelerazione dell’inflazione nel mese di febbraio, non è ancora arrivata ai livelli della Germania che ha addirittura superato il target nello stesso mese registrando un +2,2%.

Tuttavia se l’Italia dovesse essere l’unica ad arrancare sulla dinamica dei prezzi, il Board Bce si troverebbe di fronte a una decisione complicata perché diventerebbe davvero difficile giustificare una politica monetaria così espansiva. E di quel piano di riacquisti che ha compresso i rendimenti, garantendo così maggiori margini di manovra dal lato fiscale, il nostro Paese ha un terribile bisogno, a maggior ragione adesso che l’Unione europea chiede ulteriori aggiustamenti sui conti pubblici.

Il fatto che l’Italia arranchi dietro al resto d’Europa, oltre che sulla crescita, potrà forse alleviare nel presente e nell’immediato futuro l’impatto sui bilanci delle famiglie, ma porta con sé anche conseguenze decisamente meno favorevoli.

Primo tra tutti c’è il problema del contenimento del debito pubblico che viaggia al 133% del Pil, ed è inoltre a sua volta la conseguenza della debolezza che attanaglia il nostro mercato del lavoro, dove crescita e disoccupazione sempre elevata impediscono la crescita dei salari.

Ed è per questo che il governatore della Banca centrale europea ha invitato tutti Paesi a compiere maggiori sforzi per attuare quelle riforme che possono contribuire maggiormente a favorire la crescita creando così un clima più favorevole alla ripresa. L’avvertimento all’Italia, anche se non esplicito, è stato chiaro.

Giornalista economico