Lucia Serena Rossi: non esistono lavori da donna

Dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea arriva un esempio virtuoso per tutte le donne che aspirano a governare le istituzioni

Lucia Serena Rossi ha insegnato negli atenei più prestigiosi d’Europa come il King’s College di Londra e la Sorbona di Parigi e da ottobre sarà la prima donna italiana a ricoprire il ruolo di giudice della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Un incarico autorevole, ma anche di grande impegno e responsabilità.

Come si accede a posizioni apicali e quali doti deve avere una donna oggi per avere successo nel lavoro?  

In realtà molti aspetti riguardano gli uomini e le donne allo stesso modo. Innanzitutto bisogna credere in quello che si fa e avere il senso dell’istituzione per cui si lavora, che ha le sue esigenze e le sue finalità e che merita sempre, a qualsiasi livello, rispetto e lealtà.

E ricordare sempre che l’istituzione va al di là delle persone con cui si lavora, che possono naturalmente avere caratteri più o meno a noi congeniali.

Inoltre ho sempre pensato che l’accesso a posizioni apicali sia una naturale – anche se certo non scontata- conseguenza di una solida preparazione, di un lungo lavoro che si deve fare non sugli altri, ma su se stessi, per migliorare le proprie abilità, conoscenze e professionalità..

Però, considerando il gender gap, viene da pensare che competenza e talento non siano sufficienti a raggiungere i vertici dell’organizzazione. 

Nella mia esperienza, posso testimoniare che bisogna farsi trovare pronti, poi l’occasione arriva, magari anche imprevista o diversa da quella che ci si aspettava.

Tutti abbiamo delle doti, ma è sbagliato autocompiacersi. In questo le donne sono in vantaggio, perché sono meno “autocompiaciute” degli uomini, sanno cogliere meglio i particolari, e distinguere le sfumature nei diversi contesti con cui vengono a contatto.

C’è però un aspetto che le donne dovrebbero migliorare: esprimere la propria professionalità in modo appropriato. Nello specifico, penso alla gestione delle proprie emozioni che, in ambito lavorativo, bisogna imparare a tenere per sé e alla capacità di essere assertive e incisive, ma con calma e fermezza. Il concetto di autorevolezza è diverso da autorità.

Questo aspetto è ancor più performante per la donna manager che vuole ottenere il rispetto anche da parte degli uomini: bisogna trattarli alla pari, anche se qualcuno potrebbe infastidirsi. Inoltre, è molto importante stabilire una buona relazione professionale con altre donne, basata sulla stima reciproca e sull’apprezzamento del loro lavoro. 

Esistono molti ambienti tipicamente maschili in cui è difficile per una donna riuscire ad emergere. La Corte del Lussemburgo in questo fa eccezione?

Se guardiamo i dati, purtroppo la Corte di Giustizia dell’Unione europea è molto più azzurra che rosa. Ci sono ventotto giudici (uno per ogni Stato UE) e undici avvocati generali: su trentanove persone (quaranta con il Cancelliere), le donne attualmente sono solo sei. Spezzo una lancia a favore dell’istituzione, che non ha responsabilità in questo caso: gli Stati propongono i membri e poi un panel internazionale, composto da giudici di alto livello ne valuta l’adeguatezza, con un vero e proprio esame, il cui esito non è mai scontato. 

Come viene trattato il tema delle pari opportunità in ambito europeo? Le normative dell’Unione europea sono più o meno avanzate rispetto a quelle italiane? 

Tutte le leggi contro la discriminazione sul lavoro, i permessi di maternità e ogni altro aspetto relativo al gender discrimination sono state introdotte in Italia grazie a norme dell’Unione europea. Le quote rimangono però nella discrezionalità degli Stati, che possono adottarle o meno.

È interessante notare che il diritto dell’Unione parla di quote “a favore del genere sottorappresentato”. Per quanto a noi sembri strano, infatti, ci sono alcuni Stati nordici in cui sono gli uomini ad essere sottorappresentati, anche in lavori molto ambiti.

Da una ricerca realizzata recentemente da Federmanager sul tema della leadership femminile, è emerso che il 60% dei laureati europei è donna. Lei che da tempo lavora nel mondo accademico, percepisce un’evoluzione nell’accesso al sistema da parte delle donne? Oggi, le ragazze hanno più possibilità di accesso al mondo del lavoro se si laureano nelle materie tecnico scientifiche? 

Paradossalmente, con mio grande rammarico, vedo che le studentesse universitarie oggi sono mediamente assai meno motivate e determinate rispetto alla mia generazione alla stessa età.

Attribuisco alla scuola secondaria la responsabilità di non aver saputo coinvolgere gli studenti, soprattutto le ragazze, nelle materie tecnico-scientifiche che avrebbero rappresentato per loro l’occasione di trovare una posizione lavorativa eccellente.

Per quanto riguarda invece l’università, credo sia fondamentale la scelta dell’indirizzo da seguire, perché influenza il futuro dei giovani.

Non basta pensare al raggiungimento di un obiettivo nel breve – medio termine, ma bisogna inserirlo all’interno di un progetto di vita, dove il superamento di qualche esame che non è nelle proprie corde è un sacrificio che vale la pena di sostenere. 

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Sempre in tema di barriere di genere, cosa si sentirebbe di consigliare alle sue studentesse per inserirsi al meglio nel mondo del lavoro? 

Lancio un appello: smettete di autolimitarvi e di pensare che siete destinate a fare “lavori da donna”. Non esistono lavori da uomo e lavori da donna. Non credete mai a chi dice che le donne che fanno carriera non riescono ad avere una famiglia.

È un freno culturale, sottilmente ricattatorio, che nel nostro Paese ancora troppo spesso induce le donne ad autolimitarsi nella scelta del lavoro e della carriera.

Ma se noi siamo riuscite a non rinunciare né al lavoro né alla famiglia, potete sicuramente farcela anche voi!

 *    giornalista

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